La pubblicità online potrà essere acquistata solo da soggetti che abbiano una partita IVA italiana: lo prevede un emendamento approvato alla Legge di Stabilità, che istituisce la cosiddetta Web Tax. Si tratta di un provvedimento che ha l’obiettivo di incrementare il gettito fiscale in Italia dei giganti di Internet a partire da Google, impedendo loro di fatturare altrove i proventi realizzati in Italia per la vendita di Advertising e servizi. La misura però ha provocat non poche polemiche sia in Italia sia a livello internazionale.
Update: La commissione Bilancio della Camera ha eliminato l’obbligo di partita IVA italiana per i servizi di commercio elettronico diretto o indiretto, lasciandolo tuttavia per pubblicità e per il diritto d’autore.
Emendamento sulla web tax
Questo l’emendamento nella sua formulazione originale, presentato da Eduardo Fanucci ed Ernesto Carbone, entrambi deputati del Pd, sostenuto dal presidente della Commissione, Francesco Boccia: «i soggetti passivi che intendano acquistare servizi online, sia come commercio elettronico diretto che indiretto, anche attraverso centri media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita IVA italiana».
la tassa riguarda anche «gli spazi pubblicitari e i link sponsorizzati che appaiono sulle pagine dei motori di ricerca, altrimenti detti servizi di search advertising, visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio online attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili», che «devono essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti (editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altro operatore pubblicitario) titolari di partita IVA italiana. La disposizione si applica anche nel caso in cui l’operazione di compravendita sia stata effettuata mediante centri media, operatori terzi e soggetti inserzionisti». Approvato anche un altro emendamento, presentato da Stefania Covello (sempre del Pd), per cui devono essere definiti con maggior precisione i profitti delle controllate italiane delle web company attive nella pubblicità online, rispecchiando meglio il fatturato effettivamente realizzato in Italia.
Critiche alla Web Tax
La ratio di queste norme è quella di aggirare un fenomeno ritenuto elusivo, per cui appunto le web company possono fatturare altrove proventi di fatto realizzati in Italia. ma ci sono una serie di dubbi, relativi ai rischi di penalizzazione per le imprese online italiane (l’Italia si troverebbe ad avere una normativa particolarmente severa rispetto a quella del resto d’Europa e non solo) e all’armonizzazione con le normative europee.
Il neo segretario del Pd, Matteo Renzi, ritiene che un tema come quello della Web Tax andrebbe prima discusso in sede europea, e che non risparmia una battuta particolarmente critica: «siamo passati dalla nuvola digitale alla nuvola nera di Fantozzi». Contrari anche altri deputati del Pd, come Giampaolo Galli ex direttore generale di Confindustria, e di Forza Italia, come Antonio Palmieri. Secondo il presidente di Confindustria digitale, Stefano Parisi, bisognerebbe «fare esattamente il contrario di quanto prevede la Web Tax», ovvero «favorire sul piano fiscale le piattaforme europee, non penalizzare quelle USA».
Pesanti critiche arrivano da oltreoceano: la American chamber of commerce in Italy (Camera di Commercio USA in Italia) sottolinea come gli emendamenti sulla Web Tax abbiano un «vago sapore protezionista, rispetto agli scopi di apertura e incremento dell’attrattività del Paese contenuti nel Piano Destinazione Italia». La rivista americana Forbes ritiene che la norma possa essere illegale perché non compatibile con le leggi europee, che consentono il commercio fra diversi Paesi dell’Unione. In generale, come si vede, quello dell’armonizzazione con le regole europee è considerato un punto debole: in tema di Web Tax è in corso a Bruxelles un dibattito, ma ancora non c’è alcun pronunciamento.