Uno dei cardini fondamentali della Comunità Europea è la libertà di circolazione all’interno degli Stati membri, con la possibilità di svolgere ovunque la propria attività. Un principio base ma di difficile realizzazione pratica a causa della differenze normative tra Stati UE.
Per quanto riguarda le attività di Servizi – il 70% del PIL europeo, un settore chiave in termini di occupazione soprattutto femminile e di Pmi – un contributo decisivo al processo di liberalizzazione e semplificazione del mercato è stato portato dalla Direttiva 2006/123/CE (Direttiva Servizi), secondo quanto previsto nella Strategia di Lisbona.
La Direttiva mira all’eliminazione delle barriere normative e amministrative e, in particolare, delle procedure e formalità di accesso e svolgimento delle attività di servizio.
Gli Stati membri hanno dunque il compito di elaborare un quadro giuridico nazionale sulla base dei principi stabiliti nella direttiva, provvedendo alla armonizzazione progressiva dei rispettivi regimi normativi di accesso e di esercizio delle attività e alla eliminazione degli ostacoli alla prestazione dei servizi nel mercato interno.
Il campo di applicazione della direttiva riguarda qualsiasi servizio fornito dietro corrispettivo economico, con previsione di alcune esclusioni, prevedendo che gli stati membri debbano garantire il libero accesso ad una attività di servizi nonché il suo libero esercizio sul territorio.
Vietato vietare
In linea generale è espressamente vietato, per gli Stati, subordinare accesso ed esercizio di attività di Servizi ad alcun regime autorizzatorio: i prestatori devono essere liberi di fornire un servizio in un altro Stato membro attraverso il libero accesso ed il libero esercizio della attività.
Eccezioni alla regola possono essere rappresentate da motivi di interesse generale, con casistiche desumibili dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (ma costituiscono un elenco non esaustivo): Ordine pubblico; Sicurezza pubblica; Incolumità pubblica; Sanità pubblica; Tutela dei consumatori; Lotta alle frodi; Tutela dell ‘ ambiente; Ambiente urbano; Salute animale; Proprietà intellettuale; Conservazione del patrimonio; Obiettivi di politica sociale e culturale.
I regimi autorizzativi non possono comunque essere, in nessun caso, discriminatori nei confronti degli operatori esteri. La direttiva considera discriminatori i quelli basati su: Cittadinanza; Residenza; Iscrizione in un determinato registro o ruolo.
Il recepimento in Italia
In Italia il Decreto Legislativo 26 marzo 2010 n. 59 (Servizi nel mercato interno) ha recepito la Direttiva 2006/123/CE. La norma prevede la semplificazione normativa ed amministrativa delle procedure e formalità per accedere e scolgere attività di servizio.
Tutte le amministrazioni, anche quelle territoriali, hanno verificato requisiti e procedure per individuare quelli non conformi ai principi e ai criteri della Direttiva. Sono state eliminate forme di discriminazione riconducibili alla cittadinanza o analoghe, quale l ‘ obbligo di residenza, domicilio e stabilimento.
Le disposizioni si applicano a qualsiasi attività economica di carattere imprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di subordinazione, diretta allo scambio di beni e servizi o alla fornitura di altra prestazione anche a carattere intellettuale, individuando i settori esclusi e gli altri per i quali l’applicazione è comunque limitata.
Semplificazioni per Pmi
Gli effetti del recepimento della Direttiva Servizi hanno sostanzialmente un peso per attività di servizio svolte da piccole e micro imprese è stata prevista: la dichiarazione di inizio attività (DIA) alle autorità competenti; la richiesta di requisiti per l’accesso solo nei casi giustificati da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza, sanità pubblica o tutela dell ‘ ambiente.
Per l’apertura di esercizi di vicinato (negozi con superficie di vendita netta inferiore a 150 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10mila abitanti o superficie di vendita netta inferiore a 250 mq per i comuni con popolazione residente superiore a 10mila abitanti) e per le forme speciali di vendita (spacci interni, apparecchi automatici, vendita per corrispondenza, televisione, o altri sistemi di comunicazione, vendite presso il domicilio dei consumatori) è stata prevista la DIA ad efficacia immediata, consentendo l’avvio della attività contestualmente all’invio della comunicazione al Comune competente per territorio (diversamente dalla precedente disciplina che obbligava l’impresa ad attendere la scadenza del termine di 30 giorni dalla data di comunicazione per l’avvio della attività).
Ferma restando la finalità di tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico ed ambientale, sono stati vietati criteri di autorizzazione legati alla verifica di natura economica o fondati sulla prova della esistenza di un bisogno economico o sulla prova di una domanda di mercato (entità delle vendite di alimenti e bevande e presenza di altri esercizi di somministrazione).
Anche per la apertura delle attività di acconciatore, estetista e tinto-lavanderia, è stato semplificato l’accesso all’attività prevedendo per l’avvio la presentazione della DIA ad efficacia immediata.
Inoltre sono stati eliminati ruoli ed elenchi qualora si configurassero quali presupposti per l’avvio della attività nei casi di: Attività di intermediazione commerciale e di affari; Agente e rappresentante di commercio; Mediatore marittimo. Tuttavia, non sono stati modificati i requisiti necessari per accedere all’esercizio di queste attività e la verifica del possesso da parte delle autorità competenti.
Il recepimento delle Regioni
Per diventare pienamente operativa, nel nostro Paese l’ultimo passaggio è costituito dal recepimento nelle normative regionali. In sostanza, le Regioni sono obbligate a recepire o armonizzare la propria normativa con le disposizioni contenute nel D.Lgs. ma, fino a quel momento, per effetto della clausola di cedevolezza, in via transitoria vigono le norme previste dalla normativa nazionale.