Le aziende italiane possono subito chiedere un indennizzo monetario per il ritardo burocratico della Pubblica Amministrazione nei loro confronti: è infatti operativa la misura del Decreto Fare che prevede un risarcimento in caso di lungaggini nell’avvio ed esercizio dell’attività di impresa (articolo 28 del Dl 69/2013, convertito nella L. 98/2013). La sperimentazione dura 18 mesi e dà diritto a 30 euro per ogni giorno di ritardo fino a un massimo di 2mila euro (leggi: Indennizzo imprese per ritardi PA).
La procedura
La domanda di rimborso è valida a partire dal 21 agosto 2013. L’impresa può chiedere il risarcimento entro 7 giorni dalla scadenza della pratica, direttamente all’ufficio responsabile del ritardo. Se non ottiene risposta può presentare ricorso al TAR. Ma attenzione: se il ricorso è inammissibile o respinto per manifesta infondatezza dell’istanza, il giudice, «con prununcia immediatamente esecutiva», condanna l’impresa a pagare da un minimo di due volte a un massimo di quattro volte il risarcimento richiesto.L’impresa deve comunque, obbligatoriamente, ricevere informativa del diritto nella comunicazione di avvio di ogni procedimento amministrativo (comma 8 dell’articolo 28), modalità per conseguirlo, idenitificazione del soggetto pubblico a cui è attribuito il potere sostitutivo (al quale chiedere il risaricmento) e termini entro i quali deve concludere il procedimento (leggi: il peso della burocrazia sulle PMI italiane).
Il rimborso
Nel caso di amministrazione condannata a pagare, il tribuanle deve dare comunicazione alla Corte dei Conti e al titolare dell’azione disciplinare nei confronti dell’ufficio competente, che può eventualemente prendere provvedimenti. Sono le singole amministrazioni che devono inserire nel proprio bilancio gli oneri per questi risarcimenti. In pratica, per ottenere l’indennizzo bisogna attivare una specifica pratica, eventualmente ricorrere in tribunale e attendere il pronunciamento del magistrato, il che rende la misura non particolarmente appettibile (significa spendere soldi per ottenere un indennizzo minimo, e con il rischio di una condanna “beffa”). Entro febbraio 2015 il legislatore dovrà decidere se confermare, rimodulare o abrogare la misura, sentito il parere dei ministeri della Funzione Pubblica e dell’Economia e quello della Conferenza Stato Regioni.