Secondo la Corte di Giustizia UE è possibile l’esistenza di sovrattasse e sanzioni penali se queste afferiscono a fattispecie di diritto diverse. Si tratta di un chiarimento del principio del ne bis in idem – contenuto nell’art. 4, protocollo n. 7 della Cedu e nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – quando applicato a procedimenti penali (responso “Frasson” C-617-10 del 26 febbraio 2013). L’azione penale nei confronti di un contribuente accusato di frode finanziaria aggravata può essere accompagnata anche da sanzioni fiscali.
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Gli Stati membri possono dunque ritenere legittimo che un cittadino incorra, per lo stesso caso, in reati penali e amministrativi che sfociano in sanzioni fiscali e penali, a patto che (ai fini della rivalutazione della natura penale delle sanzioni tributarie) siano considerate: la qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale; la natura dell’illecito; la natura e il grado di severità della sanzione che potrebbe colpire l’imputato.
Normativa italiana
Nell’ordinamento italiano, il principio ne bis in idem è affrontato dal DLgs 10 marzo 2000, n. 74, che ha introdotto sostanziali modifiche al sistema dei reati tributari, concentrandosi sul mancato o inferiore versamento dell’imposta dovuta. I rapporti tra reato penale e amministrativo sono regolamentati dagli artt. 19, 20, 21 del Titolo IV del DLgs: in caso di analogia sanzionatoria di norme penali e amministrative è necessario applicare il principio di specialità, tenendo presente l’obiettivo di assicurare risposte coerenti e dissuasive nei confronti dei reati.
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Prevale la specialità
L’art. 19 vieta il cumulo se il fatto rientra in uno dei reati previsti dal D.Lgs. 74/2000 e da una disposizione amministrativa, richiamando il principio di specialità: nel momento in cui si deve applicare una sanzione, bisogna optare per quella che, tra penale e amministrativa, presenti elementi più specifici. L’art. 20 prevede il principio di autonomia del procedimento amministrativo rispetto a quello penale, e dunque l’impossibilità di sospenderlo. L’art. 21 indica però che le sanzioni amministrative provocate da violazioni tributarie non eseguibili nei confronti di soggetti diversi da associazioni, società o enti nell’interesse dei quali ha già agito la persona fisica che ha commesso la violazione (a meno che il procedimento penale si sia concluso con provvedimento di archiviazione, sentenza irrevocabile di assoluzione o proscioglimento con una formula che escluda la rilevanza penale del fatto).
Violazioni tributarie con rilevanza penale
Il co. 3 dello stesso articolo sostiene che in caso di un’unica sanzione amministrativa per più violazioni tributarie in concorso o continuazione tra loro, delle quali solo alcune hanno rilievo dal punto di vista penale, è necessario procedere eseguendo la sanzione che si riferisce alle violazioni non rilevanti penalmente e attendere la conclusione del procedimento per quelle penalmente rilevanti.
Si configura così una sospensione della pena che non implica però la decorrenza per l’impugnazione, in commissione tributaria, dell’atto. In altre parole, se entro 60 giorni l’atto impositivo non viene impugnato, diventa definitivo, anche se in sede penale il procedimento viene archiviato, l’imputato viene assolto o prosciolto con sentenza che neghi la rilevanza penale del fatto, ciò perché l’assoluzione dal punto di vista penale non produce effetti ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative, anche alla luce del principio di autonomia tra il procedimento penale e quello tributario. Quindi il giudice tributario non può riferirsi all’esistenza di una sentenza penale, sebbene irrevocabile, di condanna o di proscioglimento, ma deve portare a compimento un procedimento autonomo basato sul rito tributario, e valutare i fatti in maniera indipendente.