Non è legittimo punire il dipendente con il licenziamento per essersi rivolto in tono ingiurioso nei confronti del datore di lavoro – pur volendo considerare il comportamento del lavoratore alla stregua dell’insubordinazione – perché in contrasto con la lett. i del contratto collettivo.
=>Leggi anche: le esenzioni alla Riforma dell’Articolo 18 in materia di licenziamento
Lo ha stabilito una recente sentenza (n.604) depositata lo scorso 11 aprile presso la Corte d’Appello di Bologna, sez. lavoro, in relazione ad una ordinanza pubblicata durante le prime fasi di applicazione dell’art. 18, L. 92/2012, che aveva finito per ridimensionare la finalità della riforma promossa dal Legislatore, vale a dire elevare la sanzione del risarcimento del danno a regola in caso di licenziamenti illegittimi, quasi mettendo da parte la sanzione del reintegro sul posto di lavoro.
Il caso riguardava un licenziamento causato dall’invio da parte del lavoratore di una mail al proprio superiore, ritenuta offensiva per i contenuti.
Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento e proposto ricorso, in seguito al quale il Tribunale aveva richiamato due ipotesi: “l’insussistenza del fatto contestato”, e che comunque “qualora il fatto rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, secondo le previsioni dei contratti collettivi e dei codici disciplinari”, in ossequio all’art. 18, c. 4 Stat. lav. e di conseguenza rilevava l’illegittimità del licenziamento e ordinava il reintegro del lavoratore.
=>Confronta con il licenziamento per giustificato motivo
Il Tribunale ha ricordato che per il licenziamento il fatto giuridico deve essere accertato anche dal punto di vista oggettivo. Inoltre, quanto contestato al lavoratore è assimilabile a una “lieve insubordinazione nei confronti di superiori”, che stando all’art. 9 del Contratto collettivo nazionale di riferimento prevede una sanzione conservativa.
Anche la Corte d’appello ha confermato nei fatti la sentenza rilevando che la vera insubordinazione – quella passibile di licenziamento – avviene attraverso comportamenti in grado di incidere in maniera negativa sull’organizzazione dell’azienda e che comportano la mancata applicazione delle disposizioni del datore di lavoro.
Questi vengono attuati quando il dipendente viola apertamente le disposizioni o esprime apertamente, anche attraverso ingiurie e offese, una aperta contestazione nei riguardi del potere datoriale.
=>Licenziamento senza reintegro: ecco quando si applica la Riforma dell’Articolo 18
Un lavoratore che invece rivolge in maniera isolata offese al proprio superiore, contestandone i metodi e la validità dell’organizzazione, compie un atto di “lieve insubordinazione nei confronti dei superiori”. Anche alla luce del fatto che non ci sono precedenti in questo senso.