Il datore di lavoro, in caso di necessità, ha ampia discrezionalità – garantita dall’articolo 2103 del codice civile – di disporre il trasferimento del lavoratore e questo non può opporvisi, pena la possibilità da parte dell’azienda di procedere con il licenziamento per giustificato motivo.
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Regole di trasferimento
Il licenziamento in caso di rifiuto a trasferirsi viene ritenuto legittimo se il trasferimento del lavoratore è giustificato e rispetta determinati vincoli. In primo luogo il trasferimento individuale di un lavoratore deve avvenire tra unità produttive della stessa azienda. Servono poi comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustifichino la scelta del datore di lavoro.
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Libertà aziendale
Il controllo sulla legittimità del trasferimento si limita ad accertare che vi sia corrispondenza tra provvedimento adottato dal datore di lavoro e finalità dell’impresa. E la decisione non deve presentare necessariamente i caratteri dell’inevitabilità: è sufficiente che il trasferimento del lavoratore risulti ragionevole sul piano tecnico, organizzativo e produttivo.
Di fatto, secondo l’interpretazione espressa dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 27 del 2001, ribadita dalla successiva normativa, non si può entrare nel merito della scelta operata dall’imprenditore, difesa dal principio di libertà dell’iniziativa economica privata, garantita dall’articolo 41 della Costituzione.
Le motivazioni del trasferimento, tuttavia, devono sussistere al momento in cui viene deciso e non successivamente, come chiarito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 1203 del 4 marzo 1989. La scelta deve inoltre essere effettuata in base a ragioni oggettive e non da comportamenti soggettivi che potrebbero dare adito a sanzioni disciplinari (sentenza della Cassazione n. 5320 del 10 marzo 2006).
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Le motivazioni del datore di lavoro possono essere giustificate anche da una incompatibilità tra lavoratori, se questa è causa di disfunzioni organizzative nell’unità produttiva. A precisarlo è stata la sentenza della Cassazione n. 3207 del 1998, che conferma quanto stabilito con la sentenza n. 3065/76: il trasferimento deve essere finalizzato al miglior funzionamento dell’azienda e la scelta del lavoratore deve derivare dalle particolari attitudini di quest’ultimo a ricoprire il nuovo posto di lavoro.
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In ogni caso deve sussistere un rapporto di causalità fra le ragioni organizzative e la scelta del lavoratore da trasferire (Pretura di Milano 21 ottobre 1982). Sotto tali condizioni il trasferimento è considerato dalla giurisprudenza legittimo e di conseguenza lo sarà anche l’eventuale licenziamento del lavoratore, se rifiuta il trasferimento. A confermarlo è stata la recente sentenza n. 20614 di novembre 2012 della Corte di Cassazione, che ha ritenuto legittimo il licenziamento di un dirigente bancario che ha rifiutato lo spostamento.