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Il contratto a tempo determinato dal 2013

di Corinne Ciriello

Pubblicato 7 Ottobre 2013
Aggiornato 24 Marzo 2014 16:23

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Analisi delle novità introdotte della Riforma Fornero e del decreto Lavoro per rendere il contratto a termine una via meno appetibile per le aziende, al fine di contrastare la precarietà nel mercato del lavoro.

Il contratto a tempo determinato è sottoposto ad un termine di durata, scaduto il quale cessa automaticamente: si tratta di un rapporto di lavoro di natura eccezionale, in quanto il nostro ordinamento prevede di regola che l’attività lavorativa venga prestata in forza di un contratto subordinato a tempo indeterminato. Pertanto, la legge stabilisce che il contratto a termine possa essere siglato solo in presenza di una valida giustificazione e che venga convertito a tempo indeterminato ove prosegua per un certo periodo dopo la scadenza, imponendo quindi una specifica pausa tra la sua scadenza e la stipula di un nuovo contratto a tempo determinato. Ciò premesso, la Riforma Fornero ha previsto una sorta di liberalizzazione del ricorso a tale fattispecie contrattuale, introducendo un’ipotesi di stipula svincolata dall’obbligo di formulare la relativa motivazione. Allo stesso tempo, per evitarne l’abuso ha previsto intervalli di maggiore durata nell’ipotesi di successione di contratti e un incremento del costo contributivo, con la prospettiva di una parziale restituzione al datore di lavoro in caso di stabilizzazione del rapporto. Con il Decreto Lavoro del governo Letta, tuttavia, le pause sono tornate ai livelli pre-riforma.

Motivazione e durata

Rispetto alla prima novità, il Legislatore ha introdotto la facoltà di stipulare un contratto a tempo determinato senza l’obbligo di addurre motivazione alcuna (il cosiddetto causalone), purché si tratti della prima stipulazione e il contratto non abbia durata superiore ai 12 mesi; detta disciplina è applicabile anche all’ipotesi di prima missione nell’ambito di un contratto di somministrazione a termine. Il periodo di 12 mesi non è frazionabile con la conseguenza che, qualora il primo contratto a termine a-causale abbia durata inferiore a tale limite, una successiva assunzione sarà possibile solo in presenza di una ragione giustificatrice. La Riforma del Lavoro Fornero prevedeva che il contratto a termine stipulato senza giustificazione non potesse essere prorogato, con il Decreto Lavoro il contratto senza causalone è tornato ad essere prorogabile, ma non può comunque avere una durata superiore ai 12 mesi comprensivi di proroga. La Riforma prevede, altresì, che, in alcuni casi e a determinate condizioni, le parti sociali possano escludere l’obbligo di giustificazione anche nel caso in cui l’assunzione a termine si verifichi nell’ambito di un processo organizzativo con le seguenti caratteristiche: avvio di una nuova attività; lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; rinnovo o proroga di una commessa consistente. In detta evenienza, la deroga all’obbligo di motivazione trova fondamento non nella durata del contratto – non oltre 12 mesi – bensì nella riconducibilità dell’assunzione ad un determinato processo organizzativo. E’ inoltre previsto che detta tipologia di assunzioni a termine non possa superare il limite del 6% della totalità dei lavoratori in forza all’unità produttiva.

Rinnovi e pause

La Riforma Fornero aveva aumentato significativamente gli intervalli obbligatori da rispettare in caso di successive assunzioni a termine portandoli da 10 a 60 giorni per le fattispecie contrattuali con durata inferiore a 6 mesi e da 20 a 90 giorni per le fattispecie contrattuali con durata superiore a 6 mesi. Con il Decreto Lavoro, tuttavia, le pause sono tornate ai livelli pre-riforma (10 e 20 giorni) a secondo che il contratto duri o meno più di sei mesi. Il mancato rispetto degli intervalli fa sì che il secondo contratto si consideri a tempo indeterminato, mentre, nel caso di due assunzioni successive, senza soluzione di continuità, il rapporto viene qualificato a tempo indeterminato a far data dalla stipula del primo contratto. La Riforma ha introdotto, inoltre, la disposizione secondo la quale il rapporto di lavoro sorto a termine si converta a tempo indeterminato se lo stesso, per l’effetto della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti con lo stesso datore di lavoro, sia complessivamente durato oltre 36 mesi, compresi proroghe o rinnovi; nel computo dei 36 mesi si deve tenere conto anche dei periodi lavorati per il medesimo datore di lavoro in forza di un contratto di somministrazione a termine. In punto di quantificazione dell’indennità dovuta al lavoratore nell’ipotesi di conversione a tempo indeterminato, la Riforma precisa che il relativo importo (variabile da un minimo di 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ad un massimo di 12 mensilità) è onnicomprensivo ossia ha la funzione di ristorare per intero ogni pregiudizio subito dal lavoratore.

Contributo addizionale

Nell’ottica, infine, di disincentivare l’assunzione di lavoratori a termine o, in ogni caso, la mancata conferma degli stessi alla scadenza del contratto, la Riforma dispone che, in caso di assunzione a tempo determinato, a partire dal 1 gennaio 2013, sia dovuto un contributo addizionale pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali (che va a finanziare l’ASPI), eccezion fatta per le assunzioni finalizzate alla sostituzione di lavoratori assenti, inerenti ad attività stagionali e nell’ambito del settore pubblico. Tale contributo addizionale, in misura pari a 6 mensilità, verrà restituito in caso di stabilizzazione del rapporto senza soluzione di continuità alla scadenza del termine; qualora la stabilizzazione avvenga nei 6 mesi successivi al decorso del termine, l’importo restituito sarà ridotto proporzionalmente in considerazione del periodo intercorso tra la cessazione del rapporto e la stipula del nuovo contratto.

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*A cura dell’Avvocato Corinne Ciriello, socia fondatrice dello Studio Legale Associato Ciriello-Cozzi di Milano; si occupa prevalentemente di responsabilità civile, contrattualistica e diritto del condominio e del lavoro.