La sentenza della Corte di Cassazione 5250/2012 ha definitivamente sciolto un nodo che da tempo generava confusione e dubbi: è possibile annullare una delibera di approvazione del bilancio di esercizio di società basandosi su presunzioni semplici. In altre parole la Cassazione ha definito che la differenza presuntivamente certa tra il risultato effettivo dell’esercizio e quello indicato nel bilancio rende nulla la delibera di approvazione del documento redatta dall’assemblea dei soci, stabilendo così la sussistenza di un illecito di bilancio solo attraverso l’accertamento di una differenza tra i dati contenuti nel bilancio approvato e quelli effettivi, senza che sia necessario conoscerne l’entità.
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Il caso
Tutto nasce da un episodio del 2000, che vide un socio di una Srl che si occupava di vendita di ricambi per motociclette e di abbigliamento tecnico impugnare per nullità la delibera di approvazione del bilancio del 2000 della società, che aveva subito grosse perdite tanto da assorbire il capitale sociale anche a causa dell’esercizio precedente in perdita. Secondo il socio che impugnò la deliberazione dell’assemblea però, il bilancio non rispettava i principi di verità e correttezza, poiché gli amministratori avevano aumentato i costi riducendo i ricavi rispetto alla realtà, così da occultare l’utile realmente maturato, costringendo al contempo i soci a aumentare il capitale per evitare il fallimento. Già in primo grado di giudizio il tribunale competente aveva annullato la delibera incriminata, citando fra le cause della sentenza la mancanza dell’indicazione dei ricavi derivanti dalla vendita dei ricambi e dell’abbigliamento la cui probabilità era stata sostenuta dalla CTU.7
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L’appello
Anche l’appello si espresse in favore dell’annullamento, sostenendo che “la notevole discrepanza tra i dati del bilancio 2000 rispetto a quelli dei due esercizi precedenti e del successivo”, risultante dalla sensibile riduzione delle vendite non poteva derivare esclusivamente dalle “problematiche commerciali evidenziate dalla società appellante”; inoltre la mancanza della quantificazione precisa dei ricavi, sostituita da una stima effettuata per presunzione, non deponeva per la veridicità del bilancio; infine la società non aveva espresso per il secondo grado del giudizio, diverse giustificazioni riferite alle perdite rispetto a quanto dichiarato dal CTU. In seguito alla sentenza di secondo grado, la società soccombente aveva deciso di ricorrere in Cassazione ritenendo che la Corte di appello aveva saltato fatti addotti come prova per il minor guadagno maturato. Anche in terzo grado il ricorso è stato rigettato, perché secondo la Corte di Cassazione anche la presunzione semplice può rappresentare motivo di convincimento per il giudice, a patto che, come affermato dall’art. 2729 del Codice Civile esistano i motivi di gravità, precisione e concordanza.
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Con sentenza n. 2549/2010 la Cassazione ha spiegato l’insussistenza del carattere di assoluta ed esclusiva necessità causale tra un fatto noto e quello ignoto, sottolineando come sia valida la presunzione di un fatto ignoto da quello noto nel momento in cui quello sia una conseguenza ragionevole desumibile attraverso l’applicazione del criterio di normalità; come sottolineato dalla stessa Corte (n. 16993/2007) ne deriva che la dipendenza logica tra fatto noto e fatto ignoto conseguente va verificata attraverso i canoni di probabilità, che riconoscano come possibile e verosimile la connessione degli eventi che producono la conseguenza secondo le regole dell’esperienza. Essendo notevole la differenza tra i ricavi ottenuti dalla società nell’anno in perdita rispetto a quelli dei due anni precedenti e di quello successivo, la Cassazione ha ribadito la sentenza di secondo grado, riconoscendo che, poiché la riduzione dei ricavi non poteva derivare da una contrazione contingente del mercato, doveva provenire dall’occultamento dei ricavi effettivi, proclamando così la nullità del bilancio approvato e della delibera di approvazione dello stesso.