L’aliquota fiscale da applicare sulle somme percepite come incentivi all’esodo è quella del TFR con l’unica eccezione dello sconto del 50% che riguarda un vecchio caso “esodati” (non quelli della riforma delle pensioni Fornero, ma i lavoratori incentivati all’esodo prima del 4 luglio 2006, su cui ci sono stati ricorsi e problemi interpretativi).
Lo ha specificato la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, nel parere 20/2012, fornendo una serie di precisazioni su una questione che nel corso degli anni, a causa del susseguirsi di diversi provvedimenti, è stata al centro di problemi interpretativi.
Incentivi all’esodo, tassazione
Il parere dei Consulenti del Lavoro mette in luce che all’incentivo all’esodo, definito «una somma aggiuntiva, rispetto alle normali competenze spettanti, offerta al dipendente che accetta di risolvere anticipatamente il rapporto di lavoro, a titolo di corrispettivo per esodo volontario» si applica sempre l’aliquota IRPEF del TFR, anche se le somme vengono corrisposte a rate. Il riferimento normativo è nel comma 2 dell’articolo 19 del Tuir.
È invece escluso che si possano applicare altre forme fiscali agevolative, come ad esempio la totale o parziale non imponibilità, non essendo queste forme di reddito riconducibili a nessun caso che prevede tali agevolazioni, nemmeno alle erogazioni liberali eccezionali.
A supporto di questa conclusione i Consulenti del Lavoro citano varie sentenze della Cassazione.
È il caso della sentenza n. 16125 del 18 agosto 2004, con cui la Suprema Corte ribadisce che «la somma corrisposta dal datore di lavoro a titolo di incentivo alle dimissioni, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, trova giustificazione nell’ambito del rapporto lavorativo e della sua risoluzione consensuale e non presenta i requisiti dell’erogazione liberale eccezionale e non ricorrente a favore della generalità dei dipendenti».
E non ha senso distinguere fra indennità definite di prepensionamento, incentivo alle dimissioni, incentivo all’esodo, perché dalla «evidente natura incentivante alle dimissioni e, dunque, sostanzialmente reddituale (in funzione del ristoro di un lucro cessante) della somma in discorso consegue la sua assoggettabilità ad IRPEF». In questo senso si esprimono anche le sentenze n. 9139 del 19 aprile 2006 e n. 20056 del 15 settembre 2006.
La sentenza n. 8199 del 2 aprile 2007, richiamando quella delle sezioni unite n. 974 del 1° febbraio 1997, ha ribadito «il carattere retributivo in senso ampio dei trattamenti integrativi erogati dal datore di lavoro, il cui obbligo doveva essere perciò riguardato come un debito di lavoro pur se esigibile soltanto dopo la cessazione del rapporto».
E anche la sentenza n. 14821 del 27 giugno 2007 sostiene la natura reddituale di queste somme, che «non hanno natura liberale né eccezionale, ma costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e rimunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto. La causa di siffatte prestazioni, pertanto, presupponendo una pattuizione, esclude che dette somme possano essere esentate dall’imposta, per cui le stesse saranno assoggettate alla tassazione separata».
Vecchio caso esodati
Chiarito definitivamente che quindi l’incentivo all’esodo è un reddito IRPEF da lavoro dipendente tassato con l’aliquota del Tfr, c’è una seconda questione, una sorta di vecchio caso “esodati”, per usare un termine molto usato dopo la Riforma delle pensioni Fornero di fine 2011. La questione ha dato luogo a problemi interpretativi e contenziosi, e riguarda in particolare un altra norma prevista dal Tuir, e che è stata però abrogata: il comma 4bis dello stesso articolo 19.
Questo contestato comma 4bis, che è rimasto in vigore fino al 4 luglio 2006 (quando è stato abrogato dall’articolo 36, comma 23, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223) prevedeva una sorta di regime agevolativo per particolari categorie di lavoratori, concedendo la possibilità di applicare uno sconto del 50% sull’aliquota del TFR a:
- uomini con almeno 55 anni;
- donne con almeno 50 anni.
Le proteste a questa norma riguardavano l’introduzione di una forma di discriminazione fra uomini e donne. Il caso fu aperto dal ricorso di un lavoratore, che la Commissione Tributaria Provinciale di Novara ha sottoposto alla Corte di Giustizia Europea. La quale, con sentenza C-207/2004 (nota come sentenza Vergani) ha dichiarato la norma del comma 4 bis dell’articolo 19 del Tuir discriminatoria nei confronti degli uomini fra i 50 e i 55 anni.
Di qui il contenzioso di dimensioni piuttosto rilevanti da parte lavoratori uomini compresi appunto fra i 50 e i 55 anni che avevano pagato l’aliquota piena e hanno chiesto il rimborso del 50% dell’imposta.
A quel punto, prima è stato soppresso il contestato comma 19 (come detto, a partire dal 4 luglio del 2006), e poi s è aperto il caso esodati, cioè di coloro che erano rimasti nelle maglie di questa girandola di provvedimenti, accettando incentivi all’esodo pensando di poter applicare lo sconto che è poi sparito.
La norma abrogativa ha previsto un regime transitorio per cui la disposizione abrogata continua ad applicarsi anche alle somme pagate a titolo di incentivo all’esodo dopo tale data (cioè dopo il 4 luglio 2006), purché in esecuzione di accordi conclusi prima di quella data.
Questo però ha risolto solo in parte il problema, lasciando aperto il dubbio relativo alla posizione degli uomini fra i 50 e i 55 anni che avevano firmato accordi prima del 4 luglio 2006.
In un primo momento, spiegano i Consulenti del Lavoro, l’Agenzia delle Entrate «ha sostenuto che gli effetti della sentenza Vergani non fossero quelli di accordare il diritto alla restituzione della metà dell’imposta trattenuta ai lavoratori maschi di età compresa tra i 50 ed i 55 anni» e con la risoluzione n. 112 del 13 ottobre 2006 ha affermato che le istanze di parziale rimborso a seguito della sentenza Vergani non potevano trovare accoglimento.
Ma ci sono stati ricorsi, e le commissioni tributarie hanno spesso e volentieri dato ragione ai lavoratori, in virtù della sentenza Vergani.
La Corte di Giustizia si è nuovamente pronunciata con l’ordinanza del 16 gennaio 2008 (cause riunite da C-128/07 a C-131/07) e ha ribadito che qualora sia stata accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario, finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, il Giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria. In sostanza, la sentenza ha dato ragione ai ricorrenti.
Risultato: nuova circolare dell’Agenzia delle Entrate, la n. 62 del 29 dicembre 2008, che ha stabilito di esaminare i contenziosi caso per caso provvedendo, nel caso di sussitenza dei presupposti, alla restituzione del 50%.
Dimissioni individuali
Ma è rimasto aperto un ultimo problema: c’è una circolare del Ministero delle Finanze (numero 326 del 1997) che esclude l’agevolazione del 50% per le dimissioni individuali.
La circolare dell’Agenzia delle Entrate numero n. 138 del 19 giugno 2007 afferma a sua volta che il regime fiscale agevolato richiede un “progetto concordato” tra l’azienda e la collettività dei lavoratori per favorire l’uscita (collettiva o individuale) dal lavoro.
Questi due provvedimenti sono però successivi a una sentenza della Cassazione che li contraddice: la sentenza n. 9334 del 20 aprile 2006 stabilisce infatti che il requisito del “progetto concordato” non è necessario, perché la norma ha il fine di agevolare l’esodo, e si realizza sia in caso di esodo individuale che di esodo collettivo.
Anche qui c’è però una precisazione, contenuta in un’altra sentenza della Cassazione, la n. 2931 del 6 febbraio 2009, secondo cui bisogna sempre tener presente che lo sconto del 50% rappresentava comunque una norma eccezionale, in quanto stabilisce una deroga alla capacità retributiva, e che quindi l’interpretazione deve essere sempre strettissima. Quindi, tutto ciò che non è desumibile con certezza dalla norma ricade nel regime fiscale ordinario (senza sconto).
Ad esempio, non sono agevolabili «gli accordi intervenuti fra il datore di lavoro ed il lavoratore dipendente (o tra le rispettive rappresentanze sindacali) tendenti a qualificare anche l’indennità di preavviso come incentivo all’esodo, accordi che possono essere dettati da intenti elusivi a costo zero per il datore di lavoro ma vantaggiosi per il lavoratore dipendente».
Incentivi all’esodo e incremento di produttività
Infine, viene escluso che agli incentivi all’esodo possa applicarsi l’imposta sostitutiva con aliquota del 10% prevista dall‘articolo 2 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 che riguarda somme collegate a incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa nonché di altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico dell’impresa.
Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate, con circolare del 22 ottobre 2008, n. 59, stabilendo chiaramente che tale aliquota non si può applicare con riferimento alle erogazioni effettuate per incentivare le risoluzioni consensuali con i dipendenti, anche nell’ipotesi in cui tali incentivi siano determinati per realizzare affinamento della struttura organizzativa, finalizzato al miglioramento dell’efficienza dell’impresa, con l’obiettivo di incrementarne i livelli di produttività».