Il Decreto Sviluppo prevede una serie di novità in materia di giustizia per le imprese, a partire da quelle sul concordato preventivo: si facilita la gestione delle crisi aziendali consentendo all’impresa in difficoltà di proseguire con l’attività nella fase del concordato preventivo sin dall’ammissione della domanda.
La misura del Dl Sviluppo tende ad anticipare l’emersione delle situazione di crisi aziendale con lo scopo di ridurre il numero dei fallimenti aziendali.
In pratica, la stessa presentazione della domanda di concordato preventivo consente all’azienda di proseguire con l’attività con tutte le protezioni previste dalla legge fallimentare, sempre che vengano rispettati una serie di adempimenti previsti specificamente dalla norma, fra cui la nomina di un professionista che certifichi la situazione di difficoltà.
Concordato preventivo
Con il concordato preventivo, o meglio con la revisione della legge fallimentare l’ordinamento italiano si avvicina a quello di molti Stati, molto simile al famoso “Chapter 11” della legge fallimentare americana (a cui hanno fatto ricorso molte aziende in questi anni di crisi).
La possibilità di presentare domanda di concordato preventivo era già prevista dalle leggi italiane, ma il cambiamento fondamentale è che per accedere al concordato, accedendo immediatamente a tutte le protezione della legge fallimentare, basta la mera presentazione della domanda, mentre prima bisognava presentare tutta la documentazione al Pubblico Ministero.
L’imprenditore può depositare il ricorso riservandosi di «presentare la proposta, il piano e la documentazione» relativi alla richiesta entro un termine che viene deciso dal giudice compreso fra 60 e 120 giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, per un massimo di altri 60 giorni.
Questa stessa novità può riguardare, oltre alla richiesta di concordato preventivo, anche l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti.
Con il deposito del ricorso l’imprenditore può compiere sia gli atti di ordinaria amministrazione che «atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni».
Non sono soggetti all’azione revocatoria, e quindi possono proseguire normalmente, «gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria».
Questo avveniva anche prima ma la novità è che il professionista che deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano (in possesso dei requisiti previsti dal codice civile) è designato dallo stesso debitore. Deve essere un professionista indipendente sia dal debitore che dai creditori e non deve aver prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo.
Il debitore, ovvero l’azienda in crisi, può anche chiedere al tribunale l’autorizzazione a compiere operazioni di finanziamento e a pagare forniture di beni o servizi necessari alla prosecuzione dell’attività.
Piano di risanamento
Quando il piano di risanamento, tecnicamente definito «piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta» prevede la prosecuzione dell’attività di impresa, la cessione dell’azienda oppure il suo conferimento in una o più società, anche di nuova costituzione, deve contenere:
- un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura;
- la relazione del professionista deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori;
- il piano può prevedere una moratoria fino a un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.
Contratti e appalti pubblici
L’ammissione al concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti pubblici se il professionista ha attestato la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento. Di tale continuazione può beneficiare anche la società cessionaria o conferitaria d’azienda o di rami d’azienda cui i contratti siano trasferiti.
E ancora, l’ammissione al concordato preventivo non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando l’impresa presenta in gara:
- una relazione del professionista che attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto;
- la dichiarazione di altro operatore – in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica nonché di certificazione, richiesti per l’affidamento dell’appalto – che fornisca una sorta di garanzia. Questi si è impegna nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, o non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all’appalto.
L’impresa in concordato può partecipare a una gara anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale.
Tempi della giustizia
Quella sul concordato preventivo non è l’unica novità in materia di rapporti fra giustizia e imprese prevista dal Dl Sviluppo.
C’è una misura che intereviene sulla ragionevole durata del processo, e che modifica la precedente normativa sul risarcimento per l’eventuale danno subito in caso di giustizia troppo lenta (la legge 24 marzo 2001, n. 89, chiamata legge Pinto dal nome dell’estensore, Michele Pinto).
La nuova norma del Dl Sviluppo prevede che il processo civile possa durare al massimo sei anni: tre in primogrado, due in appello, uno in Cassazione.
Il giudice stabilisce un indennizzo che va da 500 euro a 1500 euro per ciascun anno che supera la ragionevole durata del processo sopra descritta.
Il decreto contiene una dettagliata serie di norme che regolano richieste di risarcimento, cause di non indennizzabilità e sanzioni processuali.
Processo civile: l’impugnazione
Ci sono modifiche alle impugnazioni, ovvero alla possibilità di chiedere il ricorso in appello (secondo grado) o in Cassazione).
Vengono introdotte delle norme di inammissibilità, per impedire che i processi durino troppo con ricorsi non ragionevolmente motivati.
Il Decreto Sviluppo prevede che l’impugnazione della sentenza sia «dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta». Anche qui, la norma è bene dettagliaia e prevede una serie di eccezioni e procedure.
La decisione sulla inammissabilità dell’impugnazione viene presa dallo stesso giudice di appello in via preliminare alla trattazione del ricorso.
Da questa norma si attende una riduzione dei carichi di lavoro delle corti di appello e una conseguenza velocizzazione dei tempi della giustizia con effetti positivi, spiega il ministero della Giustizia, «per il sistema economico e per le imprese che operano in Italia».
Attualmente, il 68% dei casi nel processo civile l’appello si conclude con la conferma del giudizio di primo grado.
Scuola Magistratura
C’è infine una modifica relativa alle sedi della Scuola della magistratura che non potranno più essere tre, ma dovranno concentrarsi in un’unica sede, in coerenza con le necessità di risparmio della spending review.