La riforma del lavoro Fornero Monti è più che mai al centro del dibattito ma, in concreto, quali cambiamenti avverranno realmente nel mercato del lavoro, per imprese e lavoratori? Gli economisti Marco Mazzoldi e Matteo Rizzolli provano a dare una risposta, analizzando le modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che disciplina i licenziamenti individuali garantendo i diritti dei lavoratori dal 1970.
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Per prima cosa, il diritto di non subire un licenziamento individuale non viene eliminato dalla riforma del lavoro, ma vengono modificate le modalità con cui tale diritto viene esercitato.
Regole di proprietà, responsabilità e inalienabilità
I due economisti ricordano che esistono tre diverse regole con cui la legge tutela un diritto:
- regole di proprietà, una tutela inibitoria che se applicata la mercato del lavoro impedirebbe qualsiasi tentativo da parte dell’impresa di acquisire il diritto non consensualmente. Per licenziare l’azienda può solo acquisire il consenso del lavoratore pagando una cifra concordata con lo stesso;
- regole di responsabilità, una tutela risarcitoria secondo la quale l’impresa potrebbe alienare il diritto senza il consenso del lavoratore previo pagamento di un indennizzo stabilito per legge;
- regole di inalienabilità, una tutela inibitoria che impedirebbe il licenziamento anche in caso di consenso sia da parte dell’impresa che del lavoratore.
Prima della riforma
Prima della riforma del lavoro, in caso di licenziamento discriminatorio o senza giusta causa o senza giustificato motivo in aziende con più di 15 dipendenti si applicavano le regole di proprietà, mentre in caso di licenziamento senza giusta causa o senza giustificato motivo in imprese con meno di 15 dipendenti si applicavano le regole di responsabilità.
Ill licenziamento è ritenuto legittimo, e non esiste nessuna tutela, in caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo.
Dopo la riforma
La riforma del lavoro, così come pensata dal ministro del Welfare Elsa Fornero, prevede un’estensione delle regole di responsabilità, quindi delle tutele risarcitorie, anche ai casi prima tutelati con la regola di proprietà. Questa, quindi, rimarrebbe valida solo per i casi di licenziamento discriminatorio o disciplinare.
I diritti non cambiano
Dunque, sottolineano gli autori dell’approfondimento pubblicato su iMille.org, «il diritto del lavoratore a non subire un licenziamento individuale rimane tale e quale. Non vengono ridotte le fattispecie a cui questo diritto si applica». In più, la regola di responsabilità con cui ora si intendono tutelare anche i licenziamenti economici e in parte quelli disciplinari c’era già prima. Essa copriva altre fattispecie ed era comunque vigente per quella stessa fattispecie nelle imprese con meno di 15 dipendenti».
Non si può pertanto parlare di “mercificazione del lavoro” o “monetizzazione del licenziamento”, perché da questo punto di vista poco cambia con la riforma, visto che anche la regola di proprietà precedentemente applicata permetteva al lavoratore di chiedere un indennizzo in caso di licenziamento.
Diversamente sarebbe accaduto se prima fosse stata imposta una regola di inalienabilità che impedisce al lavoratore di accettare un indennizzo per il licenziamento.
Costi di transazione
Per capire se sia meglio utilizzare le regole di proprietà o quelle di responsabilità la teoria di Calabresi & Melamed (1972) suggerisce di guardare ai costi di transazione, ovvero al prezzo che le parti devono pagare per effettuare la transazione.
Il principio, applicato ai licenziamenti, si basa sul fatto che all’impresa conviene pagare il prezzo che soddisfa il lavoratore per fare avvenire la transazione se ritiene che il diritto costi più del lavoratore. In caso contrario lo scambio non avviene ed il diritto rimane a chi lo valuta di più. Volendo agevolare questo tipo di scambi la regola di proprietà è migliore.
In caso di costi di transazione elevati la valutazione di diritto e lavoratore conta poco, perché comunque la transazione è impedita dai costi. In questo caso è più efficiente la regola di responsabilità, che consente la transazione del diritto compensando al contempo il lavoratore.
I costi che l’azienda deve sostenere, in caso di licenziamenti individuali sono: quelli per produrre la prova che il motivo disciplinare o economico sussista; quelli per l’eventuale battaglia legale; quelli per la contrattazione strategica.
Secondo Mazzoldi e Rizzolli, successivamente all’entrata in vigore della riforma del lavoro, nel breve periodo, potremmo assistere ad un aumento dei licenziamenti con risarcimento «perché le imprese che si trovano impossibilitate a trasferire il diritto nel vecchio regime ora lo possono fare con il nuovo». Quindi avrebbero ragione coloro che temono per un dilagare di licenziamenti (anche se le ultime modifiche del ddl, prevedendo il reintegro a discrezione del giudice hanno appianato questo tipo di polemiche).
Ma nel medio lungo periodo il trend potrebbe cambiare e le imprese che prima, visti gli alti costi di trasferimento del diritto di licenziare, preferivano non assumere con contratto a tempo indeterminato potrebbero ora preferirlo e si potrebbe assistere ad un aumento netto delle assunzioni. In questo caso a prevalere sarebbe l’ipotesi avanzata da Monti e Fornero: la riforma del lavoro e dell’articolo 18 favorirebbe l’occupazione e quindi i lavoratori.