Il canone Rai è sempre stato un tributo poco digerito da cittadini e imprese, soprattutto se a complicare la situazione c’è poca chiarezza normativa e una comunicazione confusa da parte delle istituzioni.
In particolare la questione posta dalle aziende riguarda la legittimità delle richieste che la Rai può inviare alle aziende: oltre all’utilizzo di apparecchi TV (che l’azienda dovrebbe dimostrare di utilizzare solo come “monitor ad uso interno”), il dubbio è legato alla presenza negli uffici dei computer connessi alla rete Internet.
Sulla scia di un0indagine avviata dall’ADUC, aziende e i professionisti si chiedono se sono davvero chiamati a pagare il canone per i «computer collegati in rete (la lettera Rai parla infatti di qualunque apparecchio atto alla ricezione di trasmissione televisive, “compresi computer collegati in (digital signage e similari), indipendentemente dall’uso al quale gli stessi vengono adibiti”.
Una frase che lascia perplesse le aziende, soprattutto poiché la questione è già stata più volte posta alla Rai, ed è stata oggetto di interpelli all’Agenzia delle Entrate e di interrogazioni parlamentari al ministero delle Comunicazioni (ora Sviluppo economico).
A fronte di tutti questi solleciti di maggiore chiarezza, ad ogni modo, non è mai stata fornita una risposta esplicita in tal senso, né tanto meno è stato mai discriminato tra computer collegati e non collegati in rete in relazione al pagamento o meno del canone.
Secondo quanto si legge dalla lettera Rai, un’azienda per il semplice fatto di possedere dei computer, anche al solo fine di utilizzarli come strumento di lavoro, dovrebbe pagare il canone..