Fallimento delle PMI: la nuova legge

di Filippo Davide Martucci

30 Marzo 2012 09:00

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Le micro-imprese sovraindebitate che non rientrano nella legge sul fallimento possono fare accordi con i creditori, purché rispettino determinate condizioni: vediamo cosa prevede, anche in termini di procedure, la norma in vigore dal gennaio 2012.

I recenti cambiamenti delle norme sul fallimento delle PMI hanno introdotto la possibilità di realizzare un accordo fra debitore e creditore, a determinate condizioni. È la nuova disciplina prevista dalla legge n. 3 del gennaio 2012, che riguarda le disposizioni relative al contrasto dell’usura e la disciplina del fallimento delle PMI.

La norma adegua la legislazione alla realtà economica contingente, che vede molte imprese in difficoltà, che però prima non rientravano nelle ordinarie procedure concorsuali perché fuori dai parametri relativi alle dimensioni dell’azienda ai fini della legge fallimentare.

Requisiti per il “piccolo fallimento”

La nuova norma si rivolge a tutti quei soggetti che si trovano nelle condizioni di sovraindebitamento, così definite: «una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile (non fanno testo quindi i beni immobili, n.d.r.) per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni».

Questo, purché le imprese non possano in nessun caso accedere al fallimento (non rientrando nei casi previsti dalla legge fallimentare), al concordato preventivo, agli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis della legge fallimentare) o essere sottoposti ad amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Infine non devono aver beneficiato della procedura di accordo con i creditori nei tre anni precedenti alla nuova richiesta.

Procedura

L’impresa insolvente rispondente ai requisiti indicati può accedere alla procedura per la composizione delle crisi da sovraindebitamento attraverso una proposta che deve rappresentare «la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma».

Ciò vuol dire che la ristrutturazione può avvenire attraverso ogni possibile modalità, come la cessione dei redditi futuri, l’utilizzo di beni e redditi di terze parti che assumono il ruolo di garante, o l’utilizzo di strumenti di credito al consumo e altri strumenti creditizi e finanziari.

La procedura viene monitorata costantemente dall’autorità giudiziaria che deve in primo luogo verificare il rispetto dei requisiti necessari da parte dell’impresa, valutare i contenuti del piano di ristrutturazione del debito e verificare l’adempimento del piano omologato.

Nel momento in cui l’imprenditore dichiara di voler raggiungere un’intesa dispone di una moratoria di 120 giorni durante i quali può condurre le trattative necessarie senza dover temere azioni esecutive sul proprio patrimonio.

Per essere considerata valida la proposta dovrà raggiungere un accordo con l’equivalente del 70% del totale del credito, anche se detenuto da un solo creditore. Tutti gli altri dovranno adeguarsi all’accordo. Con la presenza di determinate condizioni indicate espressamente, la proposta può anche prevedere una moratoria massima di un anno per il pagamento dei creditori estranei.

Organismi di composizione

Ruolo centrale nell’iter è svolto dagli organismi di composizione, che hanno la funzione di:

  • ricevere i consensi dei creditori rispetto al piano proposto;
  • verificare il raggiungimento del 70% dei crediti;
  • attestare la fattibilità del piano;
  • proporre al giudice la nomina di un liquidatore qualora necessario;
  • in caso di insorgenza di difficoltà durante l’esecuzione del piano, procedere alla risoluzione.

L’organismo di composizione può concorrere alla redazione del piano nel caso in cui l’imprenditore non abbia le competenze necessarie. Su questo però stanno sorgendo delle critiche, poiché l’imparzialità e la terzietà dell’organismo sarebbero compromesse se i professionisti fossero chiamati a valutare un piano che essi stessi hanno contribuito a elaborare.

I costi di funzionamento dei collegi di esperti non possono pesare sulla finanza pubblica, ma ciò non significa che i componenti saranno costretti a fornire la propria consulenza a titolo gratuito. Piuttosto, il costo sarà interamente sostenuto dal debitore, secondo parametri che saranno indicati in un successivo decreto del Ministero della Giustizia.

Per quanto riguarda le caratteristiche dei membri del collegio sono state indicate due modalità: una riservata a soggetti privati (rispetto ai quali sarà compiuta una precedente valutazione secondo un regolamento che verrà messo a punto dal Ministero), l’altra alle Camere di commercio e agli ordini di avvocati, commercialisti e notai (in questo caso l’accesso potrà essere diretto). In entrambi i casi i componenti dovranno effettuare un’iscrizione in un registro dedicato presso il ministero della Giustizia.