Il decreto legge con le misure urgenti sulla sicurezza, dopo un iter travagliato, ha ricevuto il voto della Camera il 16 Luglio ed è passato al Senato per essere convertito in legge il 24 Luglio con il numero 125 e la seguente intestazione: «conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica». Il provvedimento lascia soddisfatti Alfano e Maroni. Il ministro della giustizia, Angelino Alfano, ritiene, infatti, importanti le misure antimafia adottate: innalzamento delle sanzioni, preclusione al gratuito patrocinio, facilitazioni per la confisca.
La fisionomia del decreto è stata profondamente cambiata dal maxiemendamento del Governo e dalle correzioni subite durante l’iter parlamentare. Tra le misure più significative c’è la modifica della disciplina sull’immigrazione con la previsione dell’arresto in flagranza di reato e del processo per direttissima nei confronti degli stranieri, anche cittadini comunitari, che trasgrediscono all’ordine di espulsione pronunciato dal giudice. C’è poi l’aggravante di clandestinità: l’assenza di precedenti penali non basta da sola per ottenere la concessione delle attenuanti generiche; e ancora pene raddoppiate, fino a sei anni e arresto facoltativo per chi dichiara false generalità al pubblico ufficiale; carcere da sei mesi a tre anni, aumentati della metà se commesso in concorso da due o più persone, o se a vantaggio di più di cinque immigrati, per chi cede immobili a clandestini, con confisca dell’immobile dopo la condanna o il patteggiamento.
Ma con il nuovo decreto sicurezza si inasprisce anche il trattamento nei confronti di chi favorisce il lavoro nero. Per i datori di lavoro di irregolari è prevista la detenzione fino a tre anni per ogni lavoratore straniero impiegato. La misura è così scritta: «all’articolo 22, comma 12, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, numero 286», le parole: «con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato», sono state sostituite dalle seguenti: «con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato».
La lotta al lavoro nero procede di pari passo con le iniziative nate in seno all’accordo pilota sulla sicurezza, il primo del genere in Italia, che Provincia, Assoimpredil, Ance (l’associazione che rappresenta i costruttori) e Cgil, Cisl e Uil hanno raggiunto per garantire maggiore sicurezza ai lavoratori nei cantieri. Il progetto pilota si chiama “Cantiere del Nuovo” e sono due le novità più importati: la presenza di un tesserino elettronico con le impronte digitali dei lavoratori e telecamere all’ingresso. La sperimentazione partirà in due cantieri: quello per la costruzione del nuovo polo provinciale in via Soderini e a Monza, futura sede degli uffici della Provincia. Il progetto è nato da un’idea dell’assessore provinciale al Lavoro Bruno Casati, in accordo con il presidente dell’Ance Lombardia Claudio De Albertis, i segretari di categoria degli edili e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil.
L’accordo è innovativo e si basa fondamentalmente su quattro punti: formazione, informazione, partecipazione e innovazione e facendo uso di nuove tecnologie. È previsto il rilascio a ciascun lavoratore di un tesserino elettronico personale, ma ciò avverrà solo dopo che la ditta avrà verificato la regolarità dell’assunzione comunicata dal datore di lavoro al servizio informativo provinciale Sintesi. Nel tesserino un microchip registrerà il nome e il cognome del lavoratore, il genere, l’età, la nazionalità, l’impresa di appartenenza, la data e il tipo di assunzione, le timbrature di ingresso e di uscita dal cantiere, i dispositivi di sicurezza assegnati, le attestazioni dei corsi di formazione svolti e i dati biometrici relativi alla mano sinistra e questi dati rimarranno nell’esclusiva disponibilità del lavoratore, nel rispetto della legge sulla privacy.
Inoltre, all’ingresso dei cantieri verrà installato un tornello, attraverso cui sarà possibile leggere i dati presenti nel tesserino e l’immagine della mano sinistra, grazie ad uno scanner. Il lavoratore avrà accesso al cantiere solo se i dati coincideranno, così il controllo potrà essere effettuato, non solo in entrata, ma anche in uscita. È poi prevista l’installazione di un sistema di telecamere per evitare intrusioni e vigilare sugli ingressi.
La piaga del lavoro nero è un problema che incide sulla nostra economia, si intreccia ad altri ambiti, come quello dell’immigrazione e della sicurezza e richiede risposte tempestive ed efficaci. L’immigrazione produce il 9 per cento del nostro Pil, come emerge dall’analisi del Dipartimento Politiche Migratorie della Uil, ed è quindi da un lato una risorsa per famiglie, imprese e società, dall’altro causa di problemi che vanno governati. Bisogna perciò colpire le cause dell’immigrazione irregolare ed una di queste è proprio quell’economia sommersa che produce il 27 per cento del nostro Pil, ma che funziona anche da elemento di attrazione della clandestinità. Immigrati irregolari lavorano se c’è richiesta: a domanda di lavoro nero, corrisponde un’offerta. Ma questa situazione pone problemi di sicurezza e stimola la nascita di sentimenti di preoccupazione e sfiducia nei cittadini. Provvedimenti adottati contro le imprese che praticano il lavoro nero e iniziative che vanno nel senso della legalità, se portati a termine con efficienza ed efficacia, possono non solo spingere l’economia ma apportare miglioramenti nella qualità di vita.
Questo perché il problema dell’economia sommersa riguarda non solo lavoratori e datori di lavoro, ma anche privati, imprese, istituzioni, associazioni e società. Il lavoro nero mina la solidarietà nella società e rimette in discussione le conquiste sociali, creando un clima di incertezza che può favorire atteggiamenti razzisti. Il fenomeno dell’economia sommersa riguarda purtroppo tutta l’Italia, sebbene sia il Sud l’area più colpita del nostro Paese. Il dato deriva da un’indagine Censis che indica, fra le regioni italiane, la Calabria come quella che detiene il record del lavoro nero, con 3 lavoratori irregolari su 10 e una quota di lavoro sommerso pari al 29,5 per cento. Segue la Campania (25,3 per cento), la Sicilia (24,2 per cento) e la Puglia (20 per cento). Di poco inferiori sono la Basilicata e la Sardegna. Al Centro-Nord la situazione cambia, perché i valori più elevati si registrano nelle regioni del Centro (15 per cento), mentre al Nord i dati sembrano equilibrati (Nord-Est 10,5 per cento e Nord-Ovest 10,8 per cento).
Simili percentuali di lavoro nero rendono inevitabili le ripercussioni sull’economia nazionale. I dati del Fondo Monetario Internazionale sono chiari: oltre un quarto dell’economia italiana sfugge a qualsiasi tipo di controllo, imposizione fiscale o misurazione statistica. Questa realtà sommersa non paga le tasse e i contributi e non emette fatture, vive con stipendi in nero e con utili esentasse. Sempre secondo il Fondo Monetario Internazionale, il sommerso produce 27 per cento del Pil, che fra i paesi dell’Ocse rappresenta il secondo valore più alto dopo la Grecia, con il 30 per cento. Traducendo queste percentuali in cifre, si osservano dati allarmanti: in Italia, il lavoro nero produce un valore minimo di 170 miliardi di euro annui, per un’omissione di versamenti fiscali e contributivi pari a circa 73,9 miliardi di euro di base imponibile d’imposta, in grado di fornire un gettito di circa 3 miliardi, e di circa 16,5 miliardi di euro di versamenti previdenziali e assicurativi omessi.
Le cifre sono preoccupanti e per di più si tratta di un fenomeno in crescita, soprattutto al Sud. Contrastarlo deve essere uno degli obiettivi principali del nostro Paese, se si vuole riqualificare il nostro sistema produttivo e rendere più giusto il sistema fiscale, passando attraverso il rafforzamento del sistema di protezione sociale.