Con la c.d. manovra economica d’estate, cioè il d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in Legge 6 agosto 2008, n. 133, il Governo ha varato una finanziaria a durata triennale, al fine di promulgare una serie di disposizioni, considerate di natura necessaria ed urgente, in materia di sviluppo economico, semplificazione, competitività, stabilizzazione della finanza pubblica e perequazione tributaria.
Oltre alle norme strettamente dedicate alla pressante materia dello sviluppo economico e della restituzione del potere d’acquisto alle famiglie italiane, tale decreto introduce una norma di particolare interesse sotto il profilo della semplificazione e dell’innovazione tecnologica: l’articolo 36 comma 1-bis, infatti, stabilisce che l’atto di trasferimento inter vivos di partecipazioni societarie in una società a responsabilità limitata «può essere sottoscritto con firma digitale, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici, ed è depositato, entro trenta giorni, presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, a cura di un intermediario abilitato ai sensi dell’articolo 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340. In tale caso, l’iscrizione del trasferimento nel libro soci ha luogo, su richiesta dell’alienante e dell’acquirente, dietro esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l’avvenuto deposito, rilasciato dall’intermediario che vi ha provveduto ai sensi del presente articolo».
Le novità introdotte dalla riforma
A norma della legge previgente, l’art 2470, comma 2, del codice civile, così come novellata dal d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 e successive modifiche, la sola modalità di trasferimento inter vivos delle quote di s.r.l. era l’atto con sottoscrizione autenticata, che il notaio autenticante deve depositare presso il registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede societaria. Fatto ciò, su richiesta dell’alienante o dell’acquirente, può avvenire l’iscrizione del trasferimento nel libro soci, previa esibizione del titolo attestante il trasferimento e il deposito presso il registro delle imprese.
Una tale articolata disciplina, che prevedeva la necessità dell’autentica notarile ai fini dell’iscrizione nel libro soci, e quindi dell’opponibilità dell’atto, aveva una finalità di controllo statale e prevenzione di eventuali trasferimenti di quote societarie che tendessero a impiegare denaro di provenienza illecita, quindi mirava a reprimere il fenomeno del riciclaggio di denaro sporco.
La recente riforma, invece, pur non eliminando il procedimento della sottoscrizione autenticata con deposito a cura del notaio, introduce la possibilità di trasferire la quota con un semplice documento sottoscritto con firma digitale. Successivamente, un intermediario abilitato ai sensi dell’articolo 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340, cioè un soggetto iscritto all’albo dei dottori commercialisti, dei ragionieri o dei periti, si occuperà del deposito presso il registro delle imprese. Infine, l’alienante e l’acquirente, muniti della sola attestazione rilasciata dall’intermediario, la quale certifichi il deposito, potranno chiedere l’annotazione del trasferimento nel libro soci; tale richiesta, stando al tenore letterale della norma, va effettuata sia dal venditore della quota che dal compratore, congiuntamente e non alternativamente.
Occorre specificare che la nuova normativa non si sostituisce integralmente a quella descritta precedentemente: infatti, lo stesso art. 2470 è rimasto interamente in vigore, stando ciò a dimostrare la natura “derogatoria” della disciplina dell’art. 36 comma 1-bis. Piuttosto il legislatore ha inteso instaurare una differente procedura, molto più semplificata, alternativa alla prima, più articolata.
Nel caso della procedura attraverso firma digitale, il ruolo dell’autentica notarile viene meno; è necessario, tuttavia, l’intervento di un’Autorità di Certificazione, che ha il compito di affidare la smart card o il token che sarà necessario per l’apposizione della firma digitale al documento, che deve essere custodito dal titolare, a norma del Codice dell’Amministrazione Digitale. Tale dispositivo consentirà di controllare la scadenza, la revoca o la sospensione del certificato di firma. L’art. 24 del Codice dell’Amministrazione Digitale, infatti, stabilisce che «per la generazione della firma digitale deve adoperarsi un certificato qualificato che, al momento della sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti revocato o sospeso. Attraverso il certificato qualificato si devono rilevare, secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71, la validità del certificato stesso, nonché gli elementi identificativi del titolare e del certificatore e gli eventuali limiti d’uso». Ciò sta a significare che per la sottoscrizione del trasferimento di quote societarie non è possibile utilizzare una semplice firma “elettronica”, o “non qualificata”, la quale non sarebbe idonea ad offrire le predette garanzie.
Secondo alcuni, a tal proposito, il certificatore ha “ereditato” alcuni dei doveri e degli oneri stabiliti tradizionalmente in capo ai notai: si tenga presente che la legge stabilisce a carico del certificatore precisi doveri di correttezza e rigore e precise responsabilità.
Le critiche alla nuova normativa
La riforma legislativa è stata accolta da numerose critiche nell’ambito della dottrina. Il sistema della firma digitale per la sottoscrizione del documento di trasferimento, a detta di molti, non necessiterebbe del totale abbandono dell’autenticazione notarile: non si giustificherebbe che, per il solo fatto di aver liberamente scelto di avvalersi di un’innovazione tecnologica, venisse automaticamente meno un onere, quale l’intervento notarile, stabilito dalla legge con precise finalità di garanzia legale del corretto trasferimento delle quote. In tal modo la firma digitale finirebbe per assumere un valore anche più rilevante della sottoscrizione autografa, la quale, in virtù del “doppio binario” introdotto dalla norma, continua a necessitare dell’autenticazione notarile per il deposito presso il registro delle imprese, quando invece la firma digitale richiede l’intervento del solo intermediario abilitato. Il ruolo di quest’ultimo, secondo i detrattori della riforma, si riduce a quello di un semplice “postino”, che si limita ad “inviare” il documento al registro delle imprese, senza verificare, come è dovere del notaio, l’identità dei firmatari, l’autenticità della sottoscrizione, la validità del dispositivo di firma o l’aderenza del contratto di trasferimento all’ordinamento giuridico.