Il lavoratore assunto con contratto a chiamata a tempo parziale, il cui orario viene stabilito a totale discrezione del datore di lavoro, ha sempre diritto a ricevere un compenso adeguato: lo ha stabilito la Corte di Cassazione (sentenza 5 novembre 2014, n. 23600), affrontando il caso di un dipendente che chiedeva all’azienda un’indennità compensativa determinata dalla propria disponibilità a fornire la prestazione lavorativa su richiesta, in mancanza di una determinazione precisa dell’orario di lavoro.
=> Lavoro intermittente: chiamata, contratto e tutele
Compenso lavoro part-time
La richiesta del lavoratore, rigettata dal Tribunale di Genova, è stata accolta dalla Corte d’Appello che ha condannato il datore di lavoro a versare la metà della differenza tra quanto dovuto per l’orario di lavoro a tempo pieno e quanto percepito dal lavoratore durante il periodo oggetto della contestazione.
Indennità di disponibilità
Ricorrendo in Cassazione, il datore di lavoro sosteneva la violazione di due principi: l’eccezione di prescrizione quinquennale, come anche la violazione e la falsa applicazione del contratto collettivo per i dipendenti di società e consorzi concessionari di autostrade del 21 settembre 1990, secondo il quale il lavoratore era responsabile solo della mancanza di prestazione reiterata e ingiustificata. Per i giudici, tuttavia, la richiesta di risarcimento avanzata dal lavoratore rappresentava:
«un’indennità compensativa della disponibilità prestata e della conseguente maggiore penosità della prestazione imposta al dipendente dal datore di lavoro, legittimato dalla “elasticità” della clausola a richiede “a comando” parte della prestazione lavorativa dedotta nel contratto».
=> Lavoro intermittente illecito nei call-center
Non trattandosi di un emolumento spettante al lavoratore per legge o per contratto, ma di un indennizzo derivante da una causa autonoma legata al ristoro per una maggiore onerosità della prestazione, la vicenda segue la prescrizione ordinaria. La Cassazione, inoltre, ha sottolineato che, fatto salvo il potere unilaterale del datore di lavoro di prevedere i tempi della prestazione, la disponibilità alla chiamata, sebbene non possa essere equiparata al lavoro effettivo, merita un compenso adeguato.
Clausole elastiche
Il caso in questione riguarda le cosiddette “clausole elastiche”, secondo le quali è facoltà del datore di lavoro chiedere lo svolgimento di prestazioni rese in esubero rispetto all’orario concordato dalle parti ma all’interno del limite del tempo pieno. Queste clausole, la cui consistenza era precedentemente determinata dalla contrattazione collettiva (L. 247/2007), sono ora sottoscritte dal datore di lavoro e dal lavoratore (come previsto dalla L. 183/2011), ma in caso di contratto part-time è necessario il consenso del dipendente. La L. 92/2012 invece, ha stabilito che debba essere la contrattazione collettiva a regolamentare il diritto del lavoratore a chiedere l’eliminazione o la modifica delle clausole elastiche. Ciò vale anche per le clausole flessibili, secondo le quali è possibile una variazione temporale della prestazione lavorativa senza superare i tempi complessivi.
Per approfondimenti: Corte di Cassazione, sentenza n. 23600 del 5 novembre 2014.