Non si può superare il tetto massimo di 700mila euro di crediti fiscali e contributivi che un’impresa può utilizzare in compensazione con il modello F24: è la risposta del Governo, in particolare del sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti, a un question time in commissione Finanza alle Camera, che respinge anche l’ipotesi di un intervento normativo ad hoc. Il limite di 700mila euro, alzato con l’articolo 9, comma 2 del decreto legge 35/2013, convertito con modificazioni con la legge 64/2013 (dalla precedente soglia di 516mila euro), è stato fissato:
«a garanzia di equilibri di finanza pubblica» e «non può essere modificato, né tanto meno abrogato in via interpretativa».
=> Compensazione crediti: la normativa corrente
L’interrogazione proponeva un’interpretazione estensiva dalla norma, basata anche su un provvedimento del 2012 dell’Agenzia delle Entrate, per superare il tetto per le compensazioni fiscali, eliminando le sanzioni. Ma per il Ministero il superamento del tetto comporta un danno di cassa all’Erario e, di conseguenza, non è aggirabile.
Le sanzioni
In materia si sforamento della soglia si possono verificare due casi diversi, in base ai quali l’ordinamento attuale differenzia anche l’irrogazione di sanzioni: il credito utilizzato può essere esistente o inesistente.
- Se il contribuente ottiene un rimborso IVA non spettante per difetto dei presupposti, quindi se il creduto è inesistente, si applica l’articolo 27, comma 18 del decreto legge 185/2008, che prevede la sanzione dal 100% fino al 200% della misura del credito.
- Se si utilizza in compensazione un credito esistente superando il limite previsto, l’effetto concreto che si produce è riconducibile all’omesso o ritardato versamento. E le sanzioni sono conseguenti: il 30% dell’importo non versato ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 471/1997.
La regolarizzazione
La prassi per regolarizzare il superamento del credito in compensazione è la seguente: si versa una somma pari all’eccedenza utilizzata, maggiorata di interessi e sanzioni. Il credito viene così ripristinato e può essere utilizzato in future compensazioni con eventuali debiti tributari e contributivi.
Le interpretazioni
La questione è tradizionalmente molto dibattuta; l’obiezione di fondo è che l’utilizzo in compensazione di un credito fiscale non può in alcun modo configurare un danno all’Erario, perché non si parla di somme che sarebbero dovute e non vengono versate al Fisco. Anzi, l’adempimento è complicato e dispendioso, per il contribuente, ovvero l’impresa. Ci sono anche sentenze a sostegno di questa testi, ovvero dell‘illegittimità del tetto alle compensazioni: Commissione Tributaria Regionale Emilia Romagna 64/2012, CTP Forlì 18/2011, CT Milano 31/2011, CT Lazio 183/2009. La questione è stata anche al vaglio della Corte Costituzionale (che però aveva stabilito l’inammissibilità), cui si era rivolta la CTP di Brescia (ordinanza 295/2008), anche in considerazione del fatto che viene stabilità una soglia unica, indipendentemente da dimensioni dell’impresa, situazione finanziaria, fatturato e via dicendo.
Un filone giudiziario ancora aperto è quello europeo, perché la VI Direttiva CEE vieta di impedire a un’impresa l’utilizzazione di un credito IVA maturato. La CTR Lombardia (sentenza 3047/30/14) ha recentemente citato questo orientamento per sostenere la lesione del principio di neutralità fiscale. Ma per ora, resta il no del Governo.
in commissione alla Camera del 5 novembre