Il nuovo contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act di Renzi si applicherà solo alle nuove assunzioni a tempo indeterminato: dunque, se il testo dl Jobs Act non subirà modifiche per i vecchi assunti non cambierà nulla, ma se si attuerà la Riforma dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, cambieranno per tutti i contratti in essere quanti le regole sul reintegro in caso di licenziamento ingiustificato. Il capitolo è delicato, non solo perché al centro del confronto fra Governo, parti sociali e forze politiche, ma anche perché al momento, il negoziato procede solo per via verbale: di scritto, nel Ddl Delega di Riforma del Lavoro, in materia di nuovo Articolo 18 non c’è nulla. Vediamo, in base alle varie ipotesi cosa cambia per i vecchi e i nuovi assunti.
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Nuovi assunti
A tutte le nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato sarà probabilmente applicata la nuova formulazione a tutele crescenti: giovani che entrano nel mondo del lavoro, disoccupati riassorbiti, impiegati che si spostano da un impiego ad un altro. Se invece la norma prevedesse un doppio binario, facendo coesistere il vecchio e il nuovo indeterminato, resterebbe la possibilità di farsi assumere mantenendo il “normale” contratto indeterminato, non quello a tutele crescenti (ma non sembra questa la direzione del Governo). Per quanto riguarda le altre forme contrattuali oggi esistenti (progetto, inserimento…) non è chiaro quali saranno abolite e quali assorbite dal contratto a tutele crescenti.
La tutela cresce con l’anzianità di servizio ma, a definire il tutto, sarà un successivo decreto del Governo: la delega su questo resta ampia. L’ipotesi più gettonata prevede un periodo di tre anni, in cui il nuovo contratto non è protetto dall’articolo 18 (quindi senza reintegro in caso di licenziamento ingiusto, ma un’indennità economica). Dopo tot anni (periodo che il decreto stabilirà), il dipendente tornerebbe ad avere diritto al reintegro.
Vecchi assunti
Per chi un contratto a tempo indeterminato ce l’ha già, in teoria non dovrebbe cambiare niente mentre nella pratica non è detto: se il nuovo contratto sostituirà integralmente il classico indeterminato scatteranno in automatico le medesime clausole di tutela garantita solo con l’anzianità di servizio. Soprattutto in materia di licenziamenti, se davvero si renderanno meno stringenti i criteri di applicazione dell’Articolo 18 – lasciando il reintegro solo per quelli discriminatori e alcuni casi di quelli disciplinare – proseguendo sulla strada già tracciata dalla Riforma Fornero si escluderebbe del tutto il reintegro per i licenziamenti economici (oggi, in alcuni casi, può essere riconosciuto). Sarà il decreto attuativo della delega a prevedere la casistica per i quali vale o non vale il diritto al reintegro, sulla base della regola generale sopra descritta.
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Di tutto questo, lo precisiamo, non c’è nulla nella Delega, che per l’appunto “delega” il Governo a compiere ogni scelta sui “dettagli” nei decreti attuativi: votando la fiducia anche alla Camera (approvandola senza discussione parlamentare per sveltire i tempi) si va in direzione di una riforma approvata senza nulla di definito ma solo con delle intenzioni espresse, tra cui quella esplicita di riformare l’Articolo 18. E qui siamo al punto: la riforma dei licenziamenti non riguarderebbe solo i nuovi assunti ma tutti i contratti, anche quelli già in essere. L’unica certezza è il senso della riforma: promuovere il contratto a tempo indeterminato come forma privilegiata di rapporto di lavoro, anche incentivandolo fiscalmente e rendendolo più conveniente per l’aziende in termini economici, ma contemporaneamente rendendolo più flessibile sul fronte del tutele del lavoratore in caso di licenziamento.