Ecco alcuni chiarimenti sulla riforma dei contratti a termine contenuta nel Jobs Act (Dl 34/2014, convertito con la legge 78/2014): quando continua ad essere necessario apporre una causale? Come calcolare il limite di legge del 20% su quelli a tempo determinato? Come funzionano i rinnovi e il regime transitorio? Rispondono i Consulenti del Lavoro nella Circolare n.13 del 12 giugno 2014.
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La causale
La principale novità della nuova legge è che non è più necessaria la causale fino a 36 mesi di contratto (mentre prima il limite era di un anno). In alcuni casi, però, secondo i consulenti del lavoro bisogna indicare una una: ad esempio nei casi di contratti stagionali o di sostituzione, in modo che non rientrino nel limite quantitativo dei contratti a termine consentiti.
Tetto del 20%
La norma ha eliminato il vincolo della causale sopra i 12 mesi ma ha stabilito che il datore di lavoro non possa avere un numero di contratti a termine superiore al 20% dei contratti a tempo indeterminato. Questa percentuale va calcolata sul numero dei contratti in forza al primo gennaio dell’anno di assunzione. Esempio: se un datore di lavoro al primo gennaio 2014 ha 30 dipendenti a tempo indeterminato, può stipulare un massimo di sei contratti a termine nel corso dell’anno. Se però aveva già due assunti a termine, nel corso dell’anno può assumerne solo altri quattro. Non rileva l’eventuale variazione dei contratti a tempo indeterminato nel corso dell’anno: il numero massimo dei contratti a termine consentiti va sempre calcolato sul numero degli assunti al primo gennaio.
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Nel numero di contratti a tempo indeterminato si calcolano anche apprendisti e lavoratori intermittenti con indennità di disponibilità, mentre sono da escludere lavoratori accessori, contratti di collaborazione anche a progetto, e lavori intermittenti senza indennità di disponibilità.La norma non specifica nulla in materia di contratti part-time. Secondo i consulenti del lavoro, si può prendere come riferimento l’articolo 6 del Dlgs 61/2000, in base al quale «i lavoratori a tempo parziale sono computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all’orario svolto, rapportato al tempo pieno». Quindi, continuando a prendere come esempio l’azienda con 30 lavoratori al primo gennaio scorso, se il 10% di questi sono part-time al 50%, di fatto l’azienda deve calcolare 25 dipendenti a tempo indeterminato. Quindi, nel corso del 2014 il numero di contratti a termine possibili scende a cinque.
Precisazione importante sul part-time applicato ai contratti a termine, relativa all’ipotesi che applicando la percentuale del 20% al numero dei contratti a tempo indeterminato esca un numero decimale. Esempio: se un’azienda ha 32 lavoratori a tempo indeterminato, il 20% è 6,4. Quindi, potrà assumere sei dipendenti a termine, e un altro con un contratto a termine part-time al 40%.
Come noto, questo vale solo per le aziende sopra i cinque dipendenti, sotto questa soglia i contratti a termine sono possibili sempre. La contrattazione collettiva nazionale (non quella aziendale) può prevedere regole e limiti diversi. Per i contratti collettivi che, eventualmente, prevedano già limiti diversi, questi continuano a rimanere validi fino ai rinnovi contrattuali.
Per quanto riguarda le aziende che hanno picchi di produttività, durante i quali precedentemente potevano fare ricorso liberamente ai contratti a termine, mentre ora devono rispettare il 20%, la circolare specifica che non ci sono deroghe, anche se si può verificare l’applicabilità di specifiche condizioni:
- se ci sono regole diverse previste dalla contrattazione collettiva (ad esempio, nel contratto dei metalmeccanici);
- sottoscrivendo contratti stagionali, che come visto sono esclusi dai limiti;
- sottoscrivendo un contratto aziendale che preveda una deroga per ragioni di competitività.
Si ricorda che sono esclusi dai limiti del 20% i contratti dei ricercatori, dei dirigenti, le assunzioni di over 55, le startup.
Limite dei 36 mesi
Qui c’è un’importante precisazione relativa al periodo transitorio, inserita nella legge di conversione. Come è noto, l’originario testo del Dl prevedeva che nell’arco dei 36 mesi fosse possibile un numero massimo di otto rinnovi, mentre la legge di conversione ha abbassato il numero a cinque. E’ lo stesso legislatore, con l’articolo 2-bis del Dl 34/2014, a fornire il chiarimento operativo, che istituisce appunto una sorta di periodo cuscinetto, quello durante il quale era in vigore il decreto non ancora convertito in legge. In pratica, i contratti stipulati fra il 21 marzo (entrata in vigore del decreto) e il 20 maggio (entrata in vigore della legge di conversione) possono essere rrinnovati fino a otto volte nell’arco dei 36 mesi, mentre per quelli stipulati dal 21 maggio 2014 resta il numero di cinque. In pratica, il regime da applicare dipende sempre dalla data in cui è stato stipulato il contratto, in base alle seguenti regole:
- prima del 21 marzo: si applicano le regole pre-riforma (una proroga);
- dal 21 marzo al 20 maggio: sono possibili otto proroghe in 36 mesi;
- dopo il 20 maggio: sono possibili cinque proroghe in 36 mesi.
Infine, la circolare dei consulenti del lavoro prevede una serie di utili chiarimenti anche su altri punti relativi all’applicazione della riforma dei contratti a termine, in materia di sanzioni, regole per i contratti di somministrazione, e analizza anche le novità introdotte in materia di apprendistato.