La Cassazione ha stabilito il diritto di risarcimento del lavoratore per danno d’immagine procurato dalla pubblicazione dei motivi del suo licenziamento. Con sentenza 28 febbraio 2014 n. 4854 è ribadito che la divulgazione senza ragione delle motivazioni del licenziamento è un fatto lesivo e che ogni tipologia di danno al di fuori della sfera patrimoniale (come quello d’immagine) può essere dimostrato ricorrendo a principi derivanti dall’esperienza comune, presunzioni e fatti notori, così che per quantificare il danno è possibile utilizzare un principio di equità.
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Quantificare il danno
Nel caso in oggetto, un dipendente ministeriale a tempo determinato, in missione in Tunisia, era stato licenziato prima della scadenza del contratto in seguito a gravi comportamenti. Il Tribunale ha considerato illegittimo il licenziamento – con rimborso dell’equivalente di quanto avrebbe percepito fino a scadenza del contratto – ma rigettato la richiesta di risarcimento vantata in seguito all’invio di una copia della lettera di licenziamento alla FAO e alle autorità tunisine, oltre alla pubblicazione sul Bollettino della Cooperazione.
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Calcolare il risarcimento
La Corte d’Appello ha modificato la sentenza di primo grado, stabilendo in 50mila euro il risarcimento al lavoratore per danno d’immagine.
Il Ministero ha fatto ricorso in Cassazione per mancato rispetto degli artt. 2059 e 2697 cod. civ. (danno d’immagine accolto in assenza di prove) e dell’art. 1226 (quantificazione del danno senza le prove di una eventuale perdita di clientela da parte del lavoratore).
Per la Cassazione, però, il danno d’immagine non si riferiva al licenziamento o alla comunicazione ma all’invio immotivato della lettera di recesso contenente le motivazioni e alla sua pubblicazione. Secondo la Corte, la quantificazione del danno è pertanto comprovabile da presunzioni e massime di comune esperienza o fatti notori, come già affermato dalla Cassazione S.U. 11 novembre 2008, n. 26972.