Le agevolazioni fiscali non possono essere condizionate all’utilizzo o meno di un intermediario: la Consulta ha dichiarato anticostituzionale la norma che impedisce di applicare i benefici fiscali alle operazioni effettuate da intermediari finanziari. Tecnicamente, non è costituzionale la parte dell’articolo 15, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 601/1973, nella versione in vigore anteriormente alle modifiche apportate dalla legge 244/2007 (manovra 2008).
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In pratica, la norma originaria prevedeva agevolazioni per le operazioni relative a investimenti a medio o lungo termine effettuate da
«istituti di credito o da loro sezioni o gestioni che esercitano, in conformità a disposizioni legislative, statutarie o amministrative, il credito a medio e lungo termine».
Una formulazione che escludeva intermediari finanziari diversi dalle banche.
La Corte Costituzionale osserva che
«se nel momento dell’introduzione della disposizione censurata aziende e istituti di credito, antesignani delle odierne banche, erano gli unici soggetti attivi sulla scena dei finanziamenti a medio e lungo termine, attualmente, in un contesto di pluralità degli operatori abilitati, l’esclusione degli intermediari non trova più ragionevole giustificazione».
«La discriminazione nel conferimento dell’agevolazione fiscale pone obiettivamente in essere un’irragionevole e immotivata deroga al principio di eguaglianza e una contestuale violazione dell’articolo 41 della Costituzione sotto il profilo della libertà di concorrenza, una delle manifestazioni della libertà d’iniziativa economica privata».
E ancora:
«l’esclusività del beneficio fiscale attribuito alle operazioni di finanziamento poste in essere dalle banche costituisce una discriminazione a danno degli intermediari finanziari e una distorsione della concorrenza nello specifico settore», e «assicura ai prodotti offerti dalle banche un indebito vantaggio, in termini di appetibilità finanziaria, rispetto a quelli degli intermediari, che risultano gravati da maggiori oneri fiscali inevitabilmente ricadenti sul cliente e, per ciò stesso, influenzanti le sue scelte».
In pratica, la Corte stabilisce l’irrilevanza della diversa natura dei soggetti che pongono in essere le attività finanziarie, siano essi le banche o gli intermediari abilitati dall’articolo 106, comma 1, del decreto legislativo 385/1993, il «Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia», escludendo che gli investimenti produttivi possano essere discriminati in relazione al soggetto finanziante.