Il lavoratore che nell’anno supera il tetto di cumulabilità consentito tra APe social e altri redditi da lavoro perde il diritto al beneficio e deve restituire quanto già percepito. Lo prevede il decreto attuativo, atteso a giorni in Gazzetta Ufficiale, dando in qualche modo risposta negativa alle perplessità sollevate dal Consiglio di Stato, che si era espresso favorevolmente all’introduzione di un meccanismo progressivo.
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La Riforma Pensioni prevede che si possa sommare l’APe social a redditi che nel corso dell’anno non superano gli 8mila euro per il lavoro dipendente e i 4mila 800 euro per il lavoro autonomo. Il decreto stabilisce ora che, nel caso in cui queste soglie vengano superate, l’APe social percepita nel corso dello stesso anno diviene indebita e l’INPS procede al recupero del relativo importo.
Si tratta di una precisazione importante perché il Consiglio di Stato, nel suo parere sul Dpcm attuativo della Riforma Pensioni, si era espresso a favore di un meccanismo che prevedesse la riduzione dell’APe in base alla quota di reddito eccedente i limiti, in modo da rendere progressivo lo stop alla cumulabilità.
«Alla luce della formulazione letterale della norma primaria» secondo il Consiglio di Stato, sarebbe stato«preferibile l’interpretazione secondo cui, in caso di superamento del limite reddituale, non si produca alcuna forma di decadenza sanzionatoria, ma si verifichi solo un’incompatibilità parziale dell’APE erogata, nella misura corrispondente all’eccedenza del reddito annuo percepito rispetto alla soglia di legge».
Esempio: un soggetto che percepisce 8mila 100 euro annui a titolo di lavoro dipendente (superando quindi di 100 euro il tetto consentito) secondo il CdS non dovrebbe restituire l’intera APE percepita, ma solo l’importo eccedente la soglia degli 8mila euro, quindi 100 euro. Una diversa soluzione, secondo la magistratura amministrativa, «presenta profili di irragionevolezza, penalizzando coloro che, pur superando la soglia reddituale prevista, hanno un reddito complessivo inferiore al totale dell’APE annuale».
Peccato che questa interpretazione non sia passata: al superamento della soglia scatta la perdita del diritto APe e la restituzione di quanto versato.
Altra precisazione, i tetti di 8mila euro e 4mila 800 euro si calcolano al lordo delle imposte e dei contributi assistenziali e previdenziali. Significa che il lavoratore non deve superare queste cifre al lordo di tutto, per mantenere il diritto all’APe social.
C’è una questione che non viene però chiarita: è possibile avere già il lavoro aggiuntivo, fino ai sopra citati limiti di reddito, nel momento in cui si presenta la richiesta di APe Social? Il punto è che per i disoccupati lo stesso decreto prevede che debba sussistere lo stato di disoccupazione al momento della domanda. La norma mira evidentemente a impedire domanda di APe a coloro che non hanno ancora perso il posto di lavoro, non a limitare l’accesso a chi ha redditi bassi. Resta il fatto che si potrebbe interpretare restrittivamente, limitando dunque la compatibilità ai casi in cui il nuovo lavoro inizi successivamente alla presentazione della domanda.
Resta l’incompatibilità dell’APe Social con tutte le tipologie di sostegno al reddito (mobilità, disoccupazione, cessazione attività commercianti).
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Sono invece più stringenti le regole per la pensione anticipata dei precoci con la quota 41, che non solo non può coesistere con alcuna tipologia di sussidio, ma esclude anche l’ipotesi di redditi aggiuntivi da lavoro.
Se il lavoratore che sta prendendo l’APe social percepisce per il medesimo periodo redditi da lavoro subordinato o autonomo, l’APe è sospeso per l’intero periodo di tempo per il quale sussiste il cumulo, e il Fisco recupera delle rate di pensione già erogate.