Con sentenza n. 9899/2016, la Cassazione ha spiegato quando è risarcibile il danno biologico per emarginazione lavorativa del dipendente. Nel caso in oggetto, era emerso che l’isolamento mediante postazione di lavoro separata poteva aver influito sullo stato psichico del lavoratore, aggravandone la malattia da crisi d’ansia dalla quale era affetto. Il datore di lavoro, tuttavia, senza obiettive e documentate esigenze organizzative, aveva provveduto solo tardivamente a una diversa sistemazione del dipendente, consona all’esito del provvedimento cautelare, violando l’art. 2087 cod. civ.
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Gli accertamenti del secondo grado avevano escluso che l’ambiente lavorativo avesse agito da concausa del danno in sé ma la Cassazione ha dato ragione al lavoratore. Secondo i giudici, infatti, non emerge contrapposizione se si afferma che l’isolamento aveva comportato, sia pure a livello di concausa, l’aggravamento della malattia.
In pratica, prevale il principio di equivalenza delle concause lavorative nella produzione dell’evento dannoso, in base alla norma di cui all’art. 41 cod. pen., applicabile anche per infortuni sul lavoro e malattie professionali. I giudici hanno quindi ribadito l’orientamento di precedenti sentenze (Cass. sez. lav, n. 13954 del 19/6/2014):
“va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni.” (v. anche Cass. sez. lav. n. 1575 del 26/1/2010).