Nelle unioni civili si applicano le stesse disposizioni del codice civile previste per i coniugi nell’ambito dell’impresa familiare, mentre per le convivenze delle coppie di fatto è stata inserita nella legge una specifica norma che regolamenta la partecipazione agli utili. Vediamo dunque in dettaglio come si regolamenta l’impresa familiare per le due istituzioni, unione civile o convivenza di fatto.
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All’interno dell’unione civile, che riguarda persone dello stesso sesso, le regole sono le stesse previste per i coniugi sposati: lo stabilisce l’articolo 13, che riguarda il regime patrimoniale applicabile, che nell’ultimo capoverso prevede l’applicazione delle «disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile». Fra queste, è compreso l’articolo 230 bis, che regolamenta appunto l’impresa familiare, in base al quale:
«salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato».
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Per quanto riguarda invece le convivenze di fatto, che possono riguardare persone dello stesso sesso oppure eterosessuali, interviene l’articolo 46 della legge, il quale introduce l’articolo 230 ter al codice civile, formulato nel modo seguente:
«al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato».
In pratica, in entrambi i casi si configura il diritto alla partecipazione agli utili, a meno che fra i conviventi non esista già un altro tipo di contratto all’interno dell’impresa stessa. Nel caso delle coppie di fatto, però, si applica interamente l’articolo 230 bis sopra citato, che prevede anche una serie di altre disposizioni relative al diritto di voto, alle modalità di trasferimento del diritto di partecipazione, alla divisione ereditaria, al caso di vendita dell’impresa.
Quindi, per le convivenze di fatto le uniche regole previste sono quelle contenute nel nuovo articolo 230 ter sulla partecipazione agli utili nel caso in cui il convivente lavori all’interno dell’impresa. Per le unioni civili, invece, i diritti sono pienamente assimilati a quelli dei familiari. Quindi:
- il partner partecipa alle decisioni su impiego degli utili, gestione straordinaria, indirizzi produttivi, cessazione dell’impresa, che per legge sono adottate a maggioranza dai familiari;
- il diritto di partecipazione è intrasferibile, a meno che non avvenga a favore di altri familiari con il consenso di tutti i partecipi. Può essere liquidato in denaro, in caso di cessazione dlella prestazione di lavoro o di vendita dell’azienda. Il pagamento può avvenire in più anualità: se non c’è accordo fra i partecipanti, decide il giudice:
- in caso di divisione ereditaria o trasferimento d’azienda, il partner in quanto partecipante fa parte dei familiari con diritto alla prelazione. Se vuole vendere la quota sulla quale ha diritto di prelazione, applica le disposizioni previste dall’articolo 732 del codice civile: notificazione della proposta agli altri eredi, indicazione del prezzo, diritto di prelazione agli altri eredi esercitabile entro due mesi. In mancanza di notificazione, gli altri eredi hanno diritto di riscattare la quota dall’acquirente.