Nell’ambito del licenziamento disciplinare è necessario affrontare la questione giudiziaria in maniera corretta dal punto di vista giuridico, pena l’annullamento della sentenza per vizio di motivazione: la Corte di Cassazione si è espressa in merito con la sentenza n. 2328 del 5 febbraio 2016.
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Licenziamento disciplinare
Il pronunciamento trae origine dall’impugnazione del licenziamento disciplinare di un operaio addetto al monitoraggio di un macchinario, sorpreso in più occasioni a dormire sul posto di lavoro, anche in virtù delle dichiarazioni rese da alcuni testimoni (che riportava anche la reazione offensiva del lavoratore al rimprovero verbale del direttore). Il lavoratore contestava, forte di ulteriori testimonianze, negava e motivava: in sintesi la ricostruzione degli episodi fatta in sentenza non corrispondeva al reale andamento dei fatti.
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Motivazioni insufficienti
La Cassazione ha dunque accolto il ricorso per mancanza di una ricostruzione organica e puntuale degli episodi contestati. Nella prima sentenza, infatti, non vengono considerati nè gli altri testi la cui versione (non è stata menzionata) né esaminata la tesi dell’operaio. Questa carenza motivazionale e ricostruttiva è stata peraltro replicata con riguardo alla gravità del fatto in relazione al quale i giudici di prime cure hanno richiamato la disposizione dell’art. 55 CCNL che si riferisce però all’“abbandono del posto di lavoro”, circostanza che non sembra essersi verificata.