La Corte di Cassazione (sentenza n. 21/2016) si è espressa circa l’obbligo, da parte del giudice anche di appello, di verificare d’ufficio la possibilità di riqualificare un licenziamento per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo (in entrambi i casi si determina la cessazione del rapporto di lavoro, tuttavia il primo ha effetto immediato mentre il secondo necessita di un periodo di preavviso).
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La vicenda nasce da una sentenza della Corte d’appello di Torino che confermava l’illegittimità del licenziamento in tronco intimato a una lavoratrice, con il conseguente reintegro e il pagamento dei danni.
Secondo la Corte, sebbene il giudice di primo grado avesse errato nell’interpretazione della contestazione disciplinare, che concerneva un’assenza ingiustificata superiore a quattro giorni, secondo il contratto collettivo i presupposti potevano dare luogo soltanto al licenziamento con preavviso.
Conversione
Lamentando la mancata conversione d’ufficio del licenziamento da parte dei giudici, l’azienda ha proposto ricorso in Cassazione che, accogliendolo, ha sottolineato come la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscano mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso (giurisprudenza costante: cfr. da ult. Cass. 12884 del 2014).
=> Licenziamento per giustificato motivo
Sanzioni
Come afferma la Corte di Cassazione, il giudice che omette di pronunciarsi anche d’ufficio sulla possibilità che un licenziamento intimato per giusta causa possa essere qualificato in termini di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, incorre nella censura di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.: non essendosi la Corte territoriale uniformatasi a tali principi, i giudici hanno deciso di cassare la sentenza impugnata e rimandarla per nuovo esame alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.