Con la sentenza n. 94 del 28 maggio 2015, la Corte Costituzionale ha giudicato illegittimo l’articolo nella Legge di Stabilità 2013 (art. 1, co. 198, L. 24 dicembre 2012, n. 228) che prevede l’esclusione dai creditori privilegiati di un’azienda confiscata per mafia, nei limiti e con le modalità indicati, i dipendenti titolari di crediti da lavoro subordinato. Nel caso in oggetto, i giudici erano stati chiamati a pronunciarsi sulle istanze di recupero crediti di alcuni lavoratori, intese ad ottenere il pagamento del TFR vantato nei confronti di una Srl le cui quote e patrimonio erano stati preventivamente confiscati.
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Diritto di difesa
Sulla questione la Corte si era già pronunciata una prima volta, dichiarando però inammissibile l’argomento della costituzionalità (sentenza n. 190 del 1994). Tuttavia, nel frattempo sono intervenuti cambiamenti normativi tali da ritenere opportuna una nuova analisi della fattispecie, anche alla luce del fatto che la sperequazione denunciata, e provocando un ostacolo a un diritto inviolabile e quindi contrastando con la garanzia prevista dall’art. 24 Cost., comporterebbe un vulnus grave del diritto di difesa dei creditori privilegiati, ai quali non verrebbe offerta
«alcuna possibilità di dimostrare il proprio affidamento incolpevole nella regolarità del rapporto di lavoro».
Diritto di retribuzione
In più sarebbe violato anche l’art. 36 Cost., che garantisce inderogabilmente al lavoratore una retribuzione proporzionata al lavoro svolto e sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa: questa previsione è estendibile anche al trattamento di fine rapporto, in quanto dotato di natura di retribuzione differita. La mancata estensione della «procedura di riconoscimento» al lavoratore che vanti un credito per tale titolo comporterebbe, nel caso di confisca dell’azienda, una grave lesione del diritto alla retribuzione già maturato: lesione che, alla luce della rilevanza costituzionale del diritto maturato, non potrebbe essere spiegata dalle finalità di sicurezza pubblica sottese alla misura di prevenzione patrimoniale.
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Esclusione incostituzionale
La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale. I giudici sono partiti dall’art. 52, co. 1, D.Lgs. 159/2011 che stabilisce, in particolare, che «la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro», purché ricorrano le seguenti condizioni:
«a) che l’escussione del restante patrimonio del proposto sia risultata insufficiente al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione sui beni sequestrati; b) che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di aver ignorato in buona fede il nesso di strumentalità; c) nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il rapporto fondamentale; d) nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rapporto fondamentale e quello che ne legittima il possesso».
Misura di prevenzione
Inoltre l’art. 55 del già citato D.Lgs. n. 159/2011 vieta, in ogni caso, di iniziare o proseguire azioni esecutive sui beni sequestrati, stabilendo, altresì, che in caso di confisca definitiva le esecuzioni si estinguono. Al fine di conseguire il soddisfacimento del loro diritto, i creditori legittimati devono presentare al giudice «domanda di ammissione» del loro credito nei termini e con le modalità indicate dalla legge. Questa previsione normativa però rappresenta il risultato del bilanciamento legislativo tra due interessi contrapposti: da un lato l’interesse dei creditori a non veder improvvisamente svanire la garanzia patrimoniale in base alla quale avevano concesso credito o compiuto prestazioni; dall’altro l’interesse pubblico ad assicurare l’effettività della misura di prevenzione patrimoniale e il raggiungimento delle sue finalità, consistenti nel privare il destinatario dei vantaggi economici dell’attività illecita. Quanto detto però ha validità solo in rapporto ai procedimenti di prevenzione instaurati dopo l’entrata in vigore del DLgs 159 del 13 ottobre 2011. L’art. 117, comma 1, del citato decreto legislativo stabilisce, infatti, che le disposizioni contenute nel Libro I – tra le quali sono comprese quelle degli artt. 52 e seguenti – non si applicano ai procedimenti nei quali, alla predetta data, «sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione», soggiungendo che «In tali casi, continuano ad applicarsi le norme previgenti».
Regime transitorio
Con l’approvazione dell’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012 (Legge di stabilità 2013), il Legislatore ha previsto una disciplina transitoria specifica che riguardasse i procedimenti di prevenzione sottratti all’applicazione delle disposizioni del Libro I del D.Lgs. n. 159 del 2011, e perciò ha obbligato che a decorrere dalla data di entrata in vigore della citata legge n. 228 del 2012 (1° gennaio 2013) non possono essere iniziate o proseguite, a pena di nullità, azioni esecutive sui beni confiscati e che «gli oneri e pesi iscritti o trascritti» su detti beni prima della confisca «sono estinti di diritto» (co. 194 e 197 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012): ciò, fatta eccezione per i casi in cui il bene sia già trasferito o aggiudicato, anche in via provvisoria, alla predetta data, o sia costituito da una quota indivisa già pignorata (co. 195). In questo modo se per i procedimenti di prevenzione iniziati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011 la legittimazione ad avvalersi della speciale procedura incidentale di verifica è estesa a tutti i creditori – siano essi chirografari, privilegiati o titolari di diritti di garanzia reale – per i procedimenti pendenti (come quello cui si riferisce il giudizio di cui trattasi) la legittimazione è circoscritta ai soli creditori ipotecari, pignoranti o intervenuti nell’esecuzione (i secondi e i terzi, peraltro, indipendentemente dal rango del loro credito e, quindi, anche se chirografari). In questo modo sono rimasti fuori dalla tutela dei crediti i lavoratori subordinati non ipotecari, pignoranti o intervenuti nell’esecuzione, ma comunque assistiti da privilegio generale sui beni mobili, ai sensi dell’art. 2751-bis, numero 1), cod. civ., e con diritto alla collocazione sussidiaria sul prezzo degli immobili, ai sensi dell’art. 2776 cod. civ. Per questo verso, la disciplina in esame si pone, tuttavia, in contrasto con l’art. 36 Cost., poiché idonea a pregiudicare il diritto, riconosciuto al lavoratore dal primo comma della citata norma costituzionale, «ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».
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La misura patrimoniale rischia, secondo i giudici, di privare ex abrupto il lavoratore della possibilità di agire utilmente in executivis per il pagamento delle proprie spettanze. Ciò avviene segnatamente quando la confisca renda i residui beni del debitore insufficienti a soddisfare le sue ragioni, e soprattutto nell’ipotesi di confisca “totalizzante” (ovvero quella che riguardi l’intero patrimonio del datore di lavoro, che nella specie di concretizza nella società di capitali in cui erano stati deposti i proventi dell’attività illecita). In simili evenienze, il lavoratore perde, in pratica, ogni prospettiva di ottenere il pagamento dei propri crediti tanto dal debitore (che non ha più mezzi), quanto dallo Stato, cui sono devoluti i beni confiscati: ciò significa che la sua tutela resta affidata al solo eventuale intervento sostitutivo del Fondo di garanzia istituito presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale, ai sensi dell’art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), a sua volta subordinato a particolari presupposti e circoscritto ad una limitata porzione dei crediti derivanti dal rapporto di lavoro subordinato. La disciplina di cui ai co. 198 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012 assume quindi una chiara valenza ad excludendum, rispetto a pagamenti da parte degli organi di gestione dei beni confiscati in favore di creditori diversi da quelli qui considerati.
Nella specie, non di bilanciamento si tratta, «ma di un sacrificio puro e semplice» dell’interesse contrapposto (sentenza n. 317 del 2009). Il bilanciamento è invece quello espresso, nell’ambito della normativa “a regime”, dalle previsioni limitative recate dall’art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011, volte ad impedire che la tutela si estenda a soggetti lato sensu “conniventi” con l’attività illecita del proposto o di reimpiego dei suoi proventi, o a crediti simulati o artificiosamente creati, ovvero ancora a casi nei quali è possibile aggredire utilmente il residuo patrimonio del debitore: previsioni peraltro valevoli – in virtù dello specifico richiamo operato dall’art. 1, co. 200, I periodo, della L. n. 228 del 2012 (da ritenere comprensivo del requisito della certa anteriorità del credito rispetto al sequestro) – anche nell’ambito della disciplina transitoria relativa ai procedimenti di prevenzione pendenti. A ciò si aggiunga che l’art. 52 del D.Lgs. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136) stabilisce, in particolare, che «La confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro», purché ricorrano le seguenti condizioni: «a) che l’escussione del restante patrimonio del proposto sia risultata insufficiente al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione sui beni sequestrati; b) che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di aver ignorato in buona fede il nesso di strumentalità; c) nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il rapporto fondamentale; d) nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rapporto fondamentale e quello che ne legittima il possesso».