L’inquadramento giuridico delle prestazioni di lavoro effettuate da familiari del datore di lavoro rischia di generare confusione: prestazione gratuita o impiego subordinato? Secondo l’art. 2094 c.c. “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Secondo la Cassazione, oltre alla condizione di dipendenza serve anche l’eterodirezione tra prestatore e datore di lavoro. In pratica, deve insorgere un vincolo gerarchico e un obbligo a recepire direttive nello svolgimento dei compiti. Vediamo i dettagli.
Lavoro subordinato: definizione e criteri
Poiché è difficile valutare tali caratteristiche, esistono dei parametri che aiutano a stabilire più oggettivamente la natura di un rapporto di lavoro:
- poteri direttivi (istruzioni), di controllo (verifica) e disciplinari (sanzioni);
- retribuzione periodica, a prescindere dal risultato economico aziendale;
- inserimento nell’organizzazione produttiva aziendale;
- obbligo di comunicare presenze e assenze dal posto di lavoro;
- strumenti del datore di lavoro per svolgere l’attività;
- osservanza di un orario di lavoro;
- necessità di concordare le ferie.
Prestazione gratuita: quando si configura
Secondo la legge, un’attività lavorativa viene esercitata presuntivamente a titolo oneroso a meno che il lavoro venga svolto da congiunti (coniuge, convivente, parenti e affini conviventi del datore di lavoro). In questo caso si presume che la prestazione sia svolta a titolo gratuito e senza alcun rapporto di lavoro, purché sussistano risponda a determinate caratteristiche:
- impresa individuale gestita e organizzata con criteri prevalentemente familiari;
- attività è prestata in favore del coniuge professionista;
- lavorativa prestata in favore di un socio di maggioranza o amministratore unico di società di persone.
Restano escluse le società di capitali, visto che in questo caso il rapporto non è con il familiare ma con la società stessa, tranne nel caso di società di capitali a socio unico.
Prestazione occasionale: come funziona
Nella nota n. 10478 del 21 giugno 2013, il Ministero del Lavoro è entrato nel merito dell’iscrizione dei lavoratori familiari nelle Gestioni previdenziali INPS:
la circostanza che il lavoro sia reso da un familiare contribuisce a determinare in molti casi la natura occasionale della prestazione, così da escludere l’obbligo di iscrizione in capo al familiare. In alcune circostanze, inoltre, l’occasionalità può essere qualificata come regola generale da tenere conto in sede di verifica ispettiva.
La presunzione di occasionalità è applicata alle prestazioni di pensionati, parenti o affini dell’imprenditore, in veste di collaborazione gratuita, tale da non richiedere iscrizione nella Gestione assicurativa né da ricondurre alla subordinazione. L’attività non deve avere sistematicità e stabilità dei compiti, né presupporre comportamenti abituali e prevalenti per quanto riguarda il funzionamento dell’azienda. Inoltre, se il familiare è impiegato full-time presso altro datore di lavoro, si considera residuale il tempo a disposizione per poter espletare altre attività o compiti con carattere di prevalenza e continuità presso l’azienda del familiare.
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Fuori da queste fattispecie è necessario applicare un parametro convenzionale che stabilisca il limite massimo temporale di una prestazione occasionale, estendendo quanto previsto dall’art. 21, co. 6-ter, D.L. n. 260/2003 per l’artigianato anche al settore del commercio e a quello agricolo: 90 giorni in un anno frazionabili in ore, al di fuori del quale la prestazione non può più definirsi occasionale.
Nel settore agricolo non costituiscono rapporto di lavoro subordinato né autonomo le prestazioni di parenti e affini fino al quarto grado, a patto che siano svolte in maniera occasionale o ricorrente per periodi brevi e che non venga versato alcun corrispettivo dal datore di lavoro parente.