Il contratto di agenzia può essere a tempo indeterminato o determinato. Cause di cessazione rispetto ad ambo le tipologie contrattuali sono il recesso anticipato (per giusta causa), l’impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., la risoluzione per inadempimento della controparte. Il contratto a tempo indeterminato può estinguersi, inoltre, anche per il recesso volontario (ordinario) di una delle parti, come previsto dall’ordinamento: non è necessario fornire giustificazione nel rispetto dei termini minimi di preavviso – secondo gli Accordi economici collettivi, più lunghi per il preponente e più brevi per l’agente – alla controparte. Diversamente, il recesso straordinario è invocabile quando, successivamente alla stipulazione del contratto, si verifichino circostanze talmente gravi da giustificare la volontà di eliminare il vincolo assunto.
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Indennità di recesso
L’indennità di cessazione del contratto è disciplinata dal codice civile e dalla contrattazione collettiva. Il diritto all’indennità viene escluso quando il preponente recede con effetto immediato, in seguito ad un grave inadempimento dell’agente o quando l’agente recede senza giusta causa o ancora quando si verifichi la cessione del contratto di agenzia. L’art. 1751 c.c. stabilisce che l’indennità sia invece dovuta all’agente quando costretto a recedere per grave condotta del preponente. Il diritto è però subordinato al fatto che abbia procurato nuovi clienti al preponente o sviluppato gli affari con i clienti esistenti tanto da generare per il preponente significativi vantaggi. La quantificazione di tale indennità deve essere equa, in considerazione dell’ammontare delle provvigioni che l’agente va a perdere.
Importo indennità
L’importo della suddetta indennità nel codice civile viene stabilito solo nella misura massima, senza fornire alcun preciso criterio di calcolo; a norma del codice civile l’importo dell’indennità “non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione”.
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Gli accordi collettivi, diversamente, stabiliscono la debenza di una prima indennità, praticamente sempre dovuta, da accantonare annualmente presso il Fondo gestito dall’Enasarco; di una seconda indennità (suppletiva di clientela), dovuta se la cessazione del rapporto non è imputabile all’agente; di una terza indennità (meritocratica), dovuta se la cessazione del rapporto non è imputabile all’agente e se il preponente ha effettivamente incrementato il proprio volume di affari grazie all’apporto dell’agente.
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Quale legge applicare?
Il contrasto giurisprudenziale sorto negli anni rispetto a quale dei due sistemi fosse da considerare prevalente è stato risolto dalla Corte di Cassazione, che ha investito della questione la Corte di Giustizia europea, la quale con sentenza del 23 marzo 2006 si è pronunciata, affermando che l’indennità di cessazione fissata dalla legislazione europea, recepita in Italia attraverso la norma dell’art. 1751 c.c., non può essere sostituita da un accordo collettivo, a meno che non sia provato che il ricorso a tale accordo garantisca all’agente commerciale un’indennità pari o superiore all’importo risultante dall’applicazione della regolamentazione codicistica. Successivamente a tale pronuncia, la giurisprudenza italiana non ha, tuttavia, adottato un indirizzo univoco, tant’è che la permanente incertezza della materia induce spesso le parti, alla cessazione del rapporto, a raggiungere accordi di natura transattiva.
Patto di non concorrenza
Sul punto, va ricordato che quando l’agente svolga la propria attività in maniera prevalentemente personale, la relativa rinuncia o transazione rientra nel campo di applicazione dell’art. 2113 c.c., con la conseguenza che, se non formalizzata nelle sedi competenti (sede sindacale, Direzione Provinciale del Lavoro o Autorità giudiziaria) è soggetta, entro 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinuncia o transazione, se intervenuta successivamente, a impugnazione da parte dell’agente medesimo.
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Il preponente può limitare la libertà contrattuale dell’agente al cessare del contratto di agenzia, impedendogli di assumere incarichi in concorrenza con quelli in precedenza svolti. In merito, l’art. 1751 bis c.c., attuativo della Direttiva n. 86/653/Cee, esige, ai fini della sua validità, che il patto di non concorrenza con l’agente sia caratterizzato dalla forma scritta, dalla durata massima di 2 anni, dalla circoscrizione della limitazione ad operare alla medesima zona, clientela e genere di beni e servizi oggetto del contratto di agenzia, con la previsione in capo all’agente del diritto a percepire, a fronte dei limiti impostigli, un compenso commisurato alla durata del patto, alla natura del contratto e alla citata indennità di fine rapporto. Peraltro, la mancata previsione all’interno del patto del relativo compenso non rende nulla la pattuizione, ma legittima l’agente a chiedere, alla cessazione del rapporto, la remunerazione dovutagli.
Posto che il contratto di agenzia rappresenta oggi uno degli strumenti giuridici maggiormente utilizzati dalle imprese sia per la commercializzazione sia per l’acquisizione di prodotti e servizi, i problemi più rilevanti connessi alla sua applicazione sorgono con riferimento alle indennità previste alla cessazione del rapporto, motivo per cui il tecnico del diritto, nell’ottica di scongiurare contrasti interpretativi, potrà predisporre clausole in linea con gli orientamenti giurisprudenziali europei e nazionali prevalenti.
A cura dell’Avvocato Corinne Ciriello, socia fondatrice dello Studio Legale Associato Ciriello-Cozzi di Milano: si occupa prevalentemente di responsabilità civile, contrattualistica, diritto del condominio e del lavoro.