Autonomia differenziata: la Corte Costituzionale ha deciso sui ricorsi

di Anna Fabi

14 Novembre 2024 21:40

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La Consulta ha deliberato sulla Riforma dell'Autonomia Differenziata, accogliendo molti dei ricorsi presentati pur "salvando " nel suo insieme la Legge.

I giudici costituzionali hanno deliberato sulle questioni di legittimità della legge sull’autonomia differenziata che, approvata nel giugno scorso, permette alle Regioni di chiedere ampi poteri su una lunga serie di settori.

La Consulta si è spressa sui ricorsi di quattro enti: Puglia, Toscana, Sardegna e Campania.

La riforma sull’autonomia differenziata

In base all’attuale legge, le Regioni possono chiedere autonomia su 23 materie, per 14 delle quali sono necessari i LEP. I livelli essenziali delle prestazioni devono garantire che siano uniformemente garantiti i servizi essenziali sul territorio. Fra le funzioni che le regioni possono chiedere ci sono anche istruzione, sanità, ricerca, lavoro, trasporti, cultura.

Le nove materie non LEP, su cui si può già chiedere l’autonomia, sono rapporti internazionali e con l’Unione europea, commercio con l’estero, professioni, protezione civile, previdenza complementare e integrativa, finanza pubblica, casse di risparmio, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale, giustizia di pace.

Le Regioni che vogliono chiedere l’autonomia presentano richiesta direttamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero degli Affari Regionali.

Dopo un iter di consultazione degli altri dicasteri e un negoziato con la Regione viene approvata definitivamente l’intesa sull’autonomia, nella quale sono appunto individuati i livelli essenziali delle prestazioni, unitamente ad eventuali provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse.

I ricorsi all’esame della Consulta

I magistrati di legittimità hanno deliberare su 17 motivi di ricorso, relativi all’interpretazione dell‘articolo 116, terzo comma, della Costituzione con riguardo all’attribuzione alle regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Ci sono anche interventi ad opponendum di Veneto, Piemonte e Lombardia. Regioni che, fra l’altro hanno già mosso i primi passi per chiedere forme di autonomia sulle materie che non richiedono i LEP, livelli essenziali delle prestazioni.

Proprio sui LEP vertono alcuni dei ricorsi delle Regioni, in relazione alla determinazione delle materie, e al procedimento previsto. Ci sono poi rilievi sulla “leale collaborazione”, ovvero il processo di attribuzione delle funzioni tra Stato e Regione, e sui finanziamenti. La legge, secondo Massimo Luciani, avvocato della Puglia, rischia di compromettere la solidarietà tra le regioni.

Il parere della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità sull’intera legge n. 86 del 2024 sull’autonomia differenziata per le regioni ordinarie, tuttavia ha accolto parzialmente i ricorsi presentati dalle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania su alcune specifiche disposizioni.

I principi a tutela dell’unità della Repubblica

Secondo la Corte, l’articolo 116 della Costituzione, che consente alle regioni ordinarie di richiedere forme speciali di autonomia, va interpretato alla luce del modello italiano di Stato. In questo contesto, la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni deve rispettare i principi di unità della Repubblica, solidarietà tra le regioni, eguaglianza dei diritti dei cittadini e equilibrio di bilancio.

Per la Corte, l’autonomia differenziata deve rispondere all’interesse pubblico e alla tutela dei diritti costituzionali, regolata dal principio di sussidiarietà.

Le disposizioni incostituzionali

La Corte ha individuato alcune specifiche disposizioni della legge che non rispettano i principi costituzionali:

  • Intesa Stato-Regione: l’intesa e la legge di differenziazione non devono trasferire intere materie alle regioni, ma solo specifiche funzioni giustificate dal principio di sussidiarietà.
  • Definizione dei LEP: la delega per stabilire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) non è correttamente definita, rimettendo la decisione sostanziale al Governo senza adeguata supervisione parlamentare.
  • Aggiornamento dei LEP tramite dPCM: l’aggiornamento dei LEP non può essere affidato a decreti del Presidente del Consiglio, come previsto dalla legge.
  • Modifiche alle aliquote tributarie: il ricorso a decreti interministeriali per modificare le aliquote tributarie per finanziare le funzioni trasferite potrebbe favorire le regioni meno efficienti.
  • Vincoli di finanza pubblica: per le regioni che ottengono forme di autonomia differenziata, il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica dovrebbe essere obbligatorio, non facoltativo.
  • Estensione della legge alle regioni a statuto speciale: la norma non dovrebbe applicarsi alle regioni a statuto speciale, le quali devono seguire le procedure previste dai loro statuti.

Gli aspetti ammessi dalla Corte

La Corte ha interpretato altre disposizioni della legge in modo conforme ai principi costituzionali:

  • Iniziativa legislativa aperta: la proposta di legge di differenziazione non è riservata solo al Governo.
  • Ruolo del Parlamento: la legge di differenziazione è soggetta a emendamenti parlamentari e non è una semplice ratifica.
  • Risorse basate su costi standard: i fondi per le funzioni trasferite alle regioni dovrebbero basarsi su costi standard e criteri di efficienza, non sulla spesa storica.

La palla passa al Parlamento

La sentenza attribuisce al Parlamento il compito di colmare i vuoti normativi lasciati dalle disposizioni dichiarate incostituzionali, nel rispetto dei principi fondamentali, per garantire la piena operatività della legge.

Nel giro di un mese conosceremo anche il responso della Cassazione sulla legittimità dei referendum, presentati dai partiti di opposizione e dai sindacati e chiedono l’abrogazione della legge.