La Manovra 2025 taglia le risorse per gli incentivi auto e dirotta i fondi verso altri comparti manifatturieri, come la difesa. Nel disegno di Legge di Bilancio ci sono 4,6 miliardiin meno sui 5,7 previsti per sostenere il settore automobilistico: rispetto alla previsione di un miliardo l’anno, la dotazione viene ora ridotta a 200mila euro annui fino al 2030.
Come prevedibile, imprese e sindacati protestano contro questo drastico taglio ai fondi automotive inserito dal Governo nella Legge di Bilancio 2025.
Dure critiche arrivano dalle associazioni dei costruttori, dai concessionari e dalla sigle confederali dei Metalmeccanici, per una scelta di Governo che non sembra andare a sostegno di un settore già profondamente in crisi.
Ecobonus auo 2025: taglio incentivi statali
Negli ultimi anni il Governo ha sostenuto la domanda con incentivi alle auto elettriche o poco inquinanti, che però sono per lo più stati usati per l’acquisto di auto a benzina, pur con basse emissioni. In generale, la conversione della produzione verso il motore elettrico si sta scontrando con la difficoltà di predisporre un’adeguata infrastruttura di ricarica, lo scarso interesse del mercato e la concorrenza cinese.
Da qui, forse, la riduzione delle risorse per lo strumentodegli incentivi statali all’acquisto di auto green, risultato nel tempo poco efficace. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha counque conferma l’impegno a garantire alla filiera gli strumenti necessari per affrontare la sfida della transizione:
tutte le risorse andranno sul fronte degli investimenti produttivi con particolare attenzione alla componentistica che è la vera forza del Made in Italy.
Sembra probabile che il tema sarà centrale nei vertici in programma fra esecutivo e parti sociali sulla Manovra: il 5 novembre con i sindacati e il 13 novembre con le imprese.
Critiche al taglio degli eco-incentivi
Secondo l’ANFIA, la drastica riduzione delle risorse destinate al fondo per l’automotive è «un’inaccettabile fulmine a ciel sereno che contraddice in maniera clamorosa l’importante attività che il Governo sta svolgendo in Europa a favore del settore per migliorare la regolamentazione», e «annulla mesi di intenso lavoro del Tavolo Sviluppo Automotive» fra esecutivo e parti sociali.
L’automotive, sottolineano i costruttori, «è il principale settore manifatturiero italiano, conta oltre 270mila addetti diretti, ha un fatturato di oltre 100 miliardi di euro ed è l’unico a cui è richiesta una trasformazione obbligatoria epocale in pochi anni». Il riferimento è in particolare alla transizione green e alle leggi europee in base alle quali dal 2035 non sarà più possibile vendere auto a motore endotermico in Europa.
«Profondo sconcerto e preoccupazione» anche dall’UNRAE (Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri), per una decisione «arrivata senza alcuna interlocuzione preventiva con gli stakeholder di riferimento», che «rischia di avere come unica conseguenza quella di arrestare immediatamente il processo di transizione verde, già in forte ritardo rispetto ad altri mercati e ad altri Paesi produttori concorrenti, e di bloccare definitivamente il rinnovo di un parco circolante sempre più vetusto, insicuro ed inquinante».
Federauto, che rappresenta i concessionari, teme che il Governo stia «rinunciando a perseguire una politica di rilancio del comparto automotive». Anche i sindacati confederali dei Metalmeccanici (FIM, FIOM e UILM) esprimono «profonda preoccupazione e ferma contrarietà» soprattutto in considerazione del momento di crisi e profonda trasformazione del mercato che richiederebbe al contrario «un forte sostegno per garantire la competitività del settore».
Le richieste di settore al Governo
Le imprese chiedono una marcia indietro o quantomeno un sostanzioso ridimensionamento su questo taglio dei fondi all’automotive nel corso dell’iter parlamentare. I sindacati ritengono che i 5,8 miliardi debbano essere «non solo ripristinati, ma anche incrementati, in linea con le necessità attuali e con quanto si dovrà ottenere anche a livello europeo, per sostenere una giusta transizione ecologica e occupazionale»