Nella disciplina che regola l’impresa familiare devono essere compresi anche i conviventi di fatto, oltre ai coniugi, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado. Ad affermarlo è la Corte Costituzionale con la sentenza n. 148 del 2024.
Secondo la Corte Costituzionale, infatti, è illegittimo l’articolo 230-bis, terzo comma, del Codice Civile che esclude dall’impresa familiare il convivente di fatto. È illegittimo dal punto di vista costituzionale, inoltre, l’art. 230-ter del Codice Civile che riconosce al convivente di fatto una tutela molto più ridotta.
La sentenza si basa sulla constatazione che, nel corso degli anni, c’è stata un’evidente evoluzione sia della normativa nazionale sia della giurisprudenza costituzionale, con il riconoscimento della piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto.
Il modello secondo la scelta del Costituente è la famiglia fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.). Permangono, quindi, differenze di disciplina, ma, quando si tratta di diritti fondamentali, esse sono recessive e la tutela non può che essere la stessa […]. Parimenti fondamentale è il diritto al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.) e alla giusta retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.), che, quando reso nel contesto di un’impresa familiare, richiede uguale protezione.
Secondo la Corte Costituzionale, quindi, è illegittimo non prevedere come familiare anche il convivente di fatto e non concepire come impresa familiare quella cui collabora anche il convivente di fatto stesso.