Alle porte della stagione turistica, il Consiglio di Stato ribadisce il no alle continue proroghe delle concessioni balneari.
In mancanza di gare indette o deliberate, le concessioni si considerano scadute al 31 dicembre 2023. E per concederne di nuove, i Comuni devono indire le gare.
Concessioni balenari senza asta, proroghe italiane illegittime
Con tre diverse sentenze depositate il 20 maggio 2024, la giustizia amministrativa conferma i principi interpretativi ormai consolidati in materia, anche alla luce della sentenza della Corte di Giustizia UE del 20 aprile 2023, in base alle quale sono contrarie alle regole comunitarie le proroghe generalizzate delle concessioni balneari previste dal legislatore italiano.
La questione delle concessioni balneari in Italia si trascina da anni.
La direttiva Bolkestein stabilisce infatti l’obbligo di procedere a gare pubbliche per affidare le concessioni, alla quale l’Italia non si è mai adeguata, stabilendo invece proroghe continue. L’ultima è contenuta nel Milleproroghe 2024 (peraltro promulgata con riserva dal Presidente della Repubblica) e arriva alla fine di quest’anno.
Le nuove sentenze del Consiglio di Stato
Secondo le sentenze del Consiglio di Stato, quest’ultima norma va disapplicata perché in contrasto con le regole europee.
Da tempo, in realtà, la Corte UE ha confermato l’illegittimità dei rinnovi automatici delle assegnazioni demaniali marittime, in contrasto con il dettato normativo della direttiva Bolkestein.
Con le ultime sentenze vengono eventualmente ammesse proroghe tecniche, fino al prossimo 31 dicembre, funzionali allo svolgimento delle gare.
Per ammettere questa proroga fino alla fine dell’anno è quindi necessario che le autorità amministrative competenti abbiano già indetto o deliberato la procedura selettiva da svolgersi in tempi brevissimi, emanando atti di indirizzo in tal senso e avviando senza indugio l’iter per la predisposizione dei bandi.
La questione della scarsità di spiagge
Viene anche confutata l’interpretazione in base alla quale l’Italia potrebbe non fare le gare non essendoci scarsità di spiagge libere. La direttiva Bolkestein prevede le concessioni nei casi in cui per una determinata attività sia possibile un numero limitato di autorizzazioni a causa della scarsità di risorse naturali.
Il Governo Meloni, per dimostrare che non c’è scarsità di spiagge, ha effettuato una mappatura rilevando che su 11mila chilometri di costa balneabile è pari a circa un terzo la quota in concessione. L’Europa ha confutato questa valutazione, anche in termini quantitativi (ritenendo le spiagge effettivamente utilizzabili dai bagnanti lunghe 8mila chilometri).
Il Consiglio di Stato su questo specifico punto ritiene innanzitutto che la questione non sia pregiudiziale per applicare la direttiva Bolkenstein, in secondo luogo reputa in contrasto con i principi costituzionali di solidarietà economica e sociale e di tutela dell’ambiente e del paesaggio consumare in modo non proporzionato i già ormai limitati tratti di spiaggia libera, rendendo le coste italiane sempre più difficilmente accessibili in modo libero e gratuito anche ai soggetti meno abbienti.
Sullo sfondo c’è anche un risvolto economico: in Italia le spiagge sono concesse da anni agli stessi operatori ad un costo spesso irrisorio rispetto ai prezzi di mercato applicati dagli stessi gestori degli stabilimenti: il turismo balneare in Italia vale oltre 15 miliardi, mentre l’imposta statale versata per la concessione delle spiagge si aggira tra mille e 10mila euro l’anno per attività.