La Riforma IRPEF va incontro alle famiglie del ceto medio ma con un paradosso: i contribuenti con redditi alti ma senza spese da detrarre non subiscono la franchigia di 260 euro ed il taglio del cuneo fiscale fa salire l’imponibile fiscale. L’intervento non porta neppure benefici alle imprese, per le quali la super-deduzione sulle assunzioni è limitata e non controbilancia l’abolizione dell’incentivo ACE sugli aumenti di capitale.
Sono alcune delle considerazioni di Marco Cuchel, presidente dell’Associazione Nazionale Commercialisti (ANC), intervistato da PMI.it ed assieme al quale abbiamo effettuato alcuni esempi di calcolo sui risparmi previsti.
Le novità IRPEF, i risparmi effettivi e i paradossi nascosti
Come noto, la riduzione a tre scaglioni IRPEF contenuta nel dlgs 216/2023 (con impatto anche su Bonus Renzi e taglio del cuneo fiscale), prevede le seguenti aliquote: 23% per i redditi fino a 28mila euro; 35% per i redditi superiori a 28mila e fino a 50mila; 43% sopra quest’ultima soglia.
Sale anche la no tax area. La detrazione per i titolari di redditi di lavoro dipendente e per taluni redditi assimilati viene innalzata di 75 euro, da 1880 euro a 1955 euro (23% su 8.500= 1.955), a condizione che il reddito complessivo non superi 15 mila euro. Quindi per il 2024, non pagano tasse i redditi che restano sotto la soglia di 8.500 euro di lavoro dipendente .
A chi conviene la riduzione degli scaglioni IRPEF?
«C’è una riduzione di imposta fino a 260 euro per chi guadagna tra 15mila e 28mila euro, pari a 260 euro annui per i redditi tra 28mila e 50mila euro. Per i redditi superiori ai 50mila euro resta il 43% e per loro non cambia nulla per effetto della franchigia da 260 euro che compensa le nuove detrazioni.
Pertanto, il nuovo sistema di calcolo è principalmente rivolto al ceto medio ma, per capire l’effettivo guadagno e/o perdita per i contribuenti, le suddette riduzioni di imposta vanno collegate al sistema delle detrazioni. Ricordiamo, infatti, che il fisco è, per così dire, un vestito che si taglia su misura; pertanto, gli effetti delle novità fiscali vanno sempre riferiti al singolo caso concreto».
Per i redditi alti senza spese detraibili cosa cambia?
«Chi non ha detrazioni da inserire nella dichiarazione dei redditi potrà comunque usufruire del risparmio fiscale derivante dalle nuove aliquote pari a 260 euro. Quindi, paradossalmente, chi non ha sostenuto spese detraibili risulta di fatto agevolato rispetto a chi le ha sostenute e avrebbe potuto indicarle quali detrazioni nella propria dichiarazione dei redditi».
Come si coordinano riforma IRPEF e Bonus Renzi?
«Il trattamento integrativo, ormai divenuto strutturale, trae le sue origini dal Bonus Renzi entrato in norma dieci anni fa con un importo pari a 80 euro mensili per retribuzioni imponibili entro i 24mila annui (26mila con correttivi in diminuzione), subendo poi modifiche nel corso degli anni.
La più recente si è resa necessaria al fine di armonizzare l’impatto dell’accorpamento dei primi due scaglioni IRPEF con aliquota fiscale unica al 23%, per il quale i lavoratori titolari di reddito fino a 15mila euro avranno ancora il diritto a percepire il trattamento integrativo a condizione che l’imposta dovuta superi il valore delle detrazioni spettanti diminuite di 75 euro. Questo, al fine di neutralizzare l’aumento delle detrazioni elevate da 1880 ad 1955 euro.
I dipendenti titolari di reddito superiore a 15mila ma entro i 28mila euro continuano ad applicarsi le regole previste dal comma 3 della legge 234/2021, per cui il trattamento integrativo è riconosciuto a condizione che la somma delle detrazioni per familiari a carico, di lavoro dipendente e di altre specifiche detrazioni previste dalla disciplina, sia di ammontare superiore all’imposta lorda calcolata sul reddito complessivo.
Ricorrendo dette condizioni l’importo del trattamento integrativo sarà pari alla differenza tra la somma di tali detrazioni e l’imposta lorda per un ammontare comunque non superiore a 1.200 euro».
Il taglio del cuneo fiscale fin quanto è vantaggioso?
«Per effetto dell’esonero, tutti i lavoratori dipendenti – con esclusione dei rapporti di lavoro domestico – beneficiano di una riduzione degli oneri contributivi, pari al 7% se titolari di reddito fino a 25mila euro o al 6% se titolari di reddito fino a 35mila euro.
All’atto pratico, il vantaggio ricade sui lavoratori dipendenti, che dal mese di gennaio beneficiano di una somma maggiore in busta paga o, com’è più corretto affermare, di una trattenuta previdenziale minore. L’importo del beneficio, per i titolari di reddito sino a 25mila euro annui, arriva a 134 euro lordi. Per i redditi fra 25mila e 35mila euro, è compreso fra 115 e 161 euro lordi.
È il caso di sottolineare, tuttavia, che l’esonero contributivo come sopra determinato, non corrisponderà del tutto ad un maggior netto in busta poiché, per effetto di una minore ritenuta previdenziale, nel cedolino paga risulta incrementato l’imponibile fiscale sul quale il sostituto d’imposta (il datore di lavoro) opererà il calcolo delle ritenute fiscali. ù
Nella sostanza dunque il reale beneficio sarà pari al valore dell’esonero contributivo al netto delle ritenute fiscali che eroderanno, seppur in parte, il beneficio».
Come funziona la nuova deduzione sulle assunzioni?
«La nuova agevolazione prevista all’articolo 4 del Dlgs 216/2023 consiste in una maggiorazione del costo ammesso in deduzione in presenza di nuove assunzioni. In particolare, si prevede che, solo per il 2024 (in attesa di una futura completa attuazione della legge delega di riforma fiscale), il costo del personale di nuova assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato venga maggiorato, ai fini della determinazione del reddito del datore di lavoro, di un importo pari al 20% del costo riferibile all’incremento occupazionale. La percentuale sale al 30% per categorie svantaggiate come giovani o lavoratrici madri.
Tale incremento si misura sulla differenza tra il costo complessivo del personale nel 2023 e nel 2024 al netto delle diminuzioni occupazionali verificatesi nelle società collegate o controllate dagli stessi soggetti.
I datori di lavoro beneficiari sono i titolari di reddito di impresa ed esercenti arti e professioni che abbiano esercitato l’attività per almeno un anno e non spetta alle società e agli enti in liquidazione ordinaria, assoggettati a liquidazione giudiziale o agli altri istituti liquidatori relativi alla crisi d’impresa.
Il decreto specifica, dal punto di vista tecnico, che “il costo riferibile all’incremento occupazionale è pari al minor importo tra il costo effettivo relativo ai nuovi assunti e l’incremento complessivo del costo del personale risultante dal conto economico”.
Per favorire ulteriormente l’assunzione di particolari categorie di soggetti, il costo riferibile a ciascun nuovo assunto, anche ai fini della determinazione dell’incremento complessivo del costo del personale, è moltiplicato per coefficienti di maggiorazione in caso di assunzioni di lavoratori meritevoli di maggiore tutela come giovani, donne percettori di sostegni al reddito, disabili.
Laddove il nuovo assunto rientri in una delle categorie di lavoratori meritevoli di maggiori tutele, il costo riferibile a ciascun nuovo assunto è moltiplicato per coefficienti di maggiorazione da stabilire con il D.M. attuativo, fermo restando che la complessiva maggiorazione non ecceda il 10% del costo del lavoro sostenuto per tali categorie.
Pertanto, ipotizzando un costo complessivo annuo di un dipendente assunto a tempo indeterminato di circa 40mila euro, è possibile dedurre 48mila euro (con una maggiorazione di 8mila euro). L’agevolazione si sostanzia in una variazione in diminuzione da apportare in sede di determinazione del reddito d’impresa (non anche ai fini IRAP).
Pertanto, occorre operare una variazione in diminuzione nel modello Redditi 2025 (relativo al periodo d’imposta 2024). Per espressa previsione normativa, nella determinazione dell’acconto delle imposte sui redditi dovuto per il 2024 non si tiene conto delle disposizioni in esame. Inoltre, nella determinazione dell’acconto per il 2025 si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata non applicando tali disposizioni».
Quanto è rilevante in concreto?
«Sicuramente è vantaggioso per le imprese, considerando il potenziale risparmio. Nel suo complesso, atteso che per ottenere tale agevolazione, che si ribadisce vale solo per il 2024, vi è un obbligo di assunzione a tempo indeterminato, molto meno elastico e gestibile rispetto ad un contratto a tempo determinato, la convenienza si riduce notevolmente.
Prendendo a riferimento l’esempio di cui sopra, applicandolo a un reddito imponibile del datore di lavoro di 100mila euro, senza agevolazione l’imprenditore versa 24mila euro di IRES; con la maggiorazione del 20% sul costo di circa 40mila euro annui di spesa del personale agevolabile, la base imponibile ai fini della tassazione si riduce ulteriormente di 8mila euro e le imposte saranno calcolate su un utile fiscale di 92mila euro e l’imprenditore verserà euro 22.080 euro di IRES, con un risparmio di 1920 euro».
Cosa comporta l’abolizione dell’ACE?
«Potranno continuare a beneficiare dell’agevolazione solo le imprese che hanno avuto accesso alla misura lo scorso anno, ma solo fino al termine degli effetti dell’agevolazione.
È palese che tutto ciò porterà, a regime, un risparmio per lo Stato e uno svantaggio per le imprese per la mancanza di uno stimolo agli investimenti e alla patrimonializzazione delle aziende italiane che sono storicamente sotto capitalizzate.
La riforma fiscale ha introdotto in sostituzione dell’ACE il nuovo incentivo alle assunzioni. Tuttavia, questa misura non copre completamente lo stimolo agli investimenti che l’ACE offriva».
Che impatto ha la riforma sui professionisti?
«Sicuramente, le continue modifiche e variazioni obbligano sia noi professionisti che le case software e le società di consulenza a un rinnovamento continuo, che si traduce in sostanza in maggiori costi e maggiore formazione.
Formazione del professionista e del personale di studio rispetto alle continue novità, aggiornamento continuo dei programmi, hardware sempre più performanti, maggiore necessità di connessioni ultra veloci per la trasmissione dei dati con la pubblica amministrazione, ma soprattutto la necessità di utilizzo sempre maggiore di software evoluti quale supporto degli studi per effettuare correttamente i crescenti adempimenti richiesti quali ad esempio privacy/antiriciclaggio, sono tutti elementi divenuti imprescindibili per una corretta ed efficace operatività.
Quindi, l’impatto prodotto dalla riforma fiscale si traduce in una duplice sfida, economica e formativa, da parte del professionista.
Realtà partner di ANC (Associazione Nazionale Commercialisti) come Alavie, società di consulenza italiana che si occupa di compliance normativa, supportano gli Studi Professionali accompagnandoli nel processo di transizione digitale e offrendo percorsi formativi di approfondimento delle normative e dei nuovi strumenti digitali.
L’implementazione di queste nuove tecnologie permette agli Studi di semplificare processi complessi, recepire al meglio le riforme e fornire alle Aziende clienti un servizio ancora migliore».