La sentenza n. 29337 del 23 ottobre 2023 della Corte di Cassazione ha chiarito la possibilità di licenziamento di un lavoratore per rifiuto del passaggio da part-time a tempo pieno.
Il licenziamento era stato contestato dal lavoratore con l’argomento secondo il quale l’aumento del lavoro in azienda non giustificava l’eliminazione del suo posto, né l’assunzione di un altro lavoratore a tempo pieno, tuttavia la Suprema Corte ha chiarito quali sono i diritti del datore di lavoro in quyesti casi.
Rifiuto tempo-pieno: licenziamento ammissibile
La questione è complessa, ed ogni caso va valutato a sè. Motivo per cui esistono sentenze che sembrano volgere verso un diverso orientamento.
Nella disputa, il Tribunale di primo rado aveva dato ragione alla società, ma la Corte d’appello aveva poi annullato tale decisione, dichiarando il licenziamento nullo e ordinando reintegro e indennizzo, ritenendo il licenziamento ritorsivo. La Corte d’Appello, tuttavia, secondo la Corte di Cassazione non aveva applicato correttamente il principio per cui il rifiuto del lavoratore comporta soltanto la rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere della prova a carico del datore di lavoro.
Quest’ultimo è infatti tenuto a dimostrare semplicemente le esigenze economiche e organizzative che non permettono il mantenimento del lavoratore a tempo pieno o parziale (a seconda del caso) se non con l’orario differente richiesto. A questo, è necessario aggiungere la prova della proposta fatta al dipendente ed il suo rifiuto, con l’esistenza di un nesso causale tra esigenze aziendali e licenziamento.
Il licenziamento non sempre è ritorsione
Se l’azienda è in grado di comprovare l’impossibilità di gestire le nuove esigenze organizzative con la prestazione fornita del dipendente con il vecchio orario di lavoro, si confgura la possibilità di eliminare quel ruolo aziendale/posto di lavoro sostituendolo con uno differente e più consono alle nuove esigenze aziendali, fermi restando tutti gli obblighi assolti sul tentativo di trovare un compromesso prima di arrivare al licenziamento.
In merito alla natura ritorsiva del licenziamento, infine, i giudici di legittimità ricordano che il motivo illecito ex art. 1345 c.c. deve essere unico e determinante. Se è legato ad una reale esigenza organizzativa, non è configurabile.