Chi ripubblica un contenuto giornalistico deve versare all’editore proprietario dei diritti una somma a titolo di equo compenso, che può arrivare al 70% dei ricavi pubblicitari generati dalla nuova pubblicazione, al netto di quelli da reindirizzamento, salvo diverso accordo tra le parti. Se non si trova l’intesa entro 30 giorni dall’avvio del negoziato, ciascuno può rivolgersi al Garante delle Comunicazioni per la determinazione dell’equo compenso (entro 60 giorni), fermo restando il diritto di rivolgersi l’autorità giudiziaria ordinaria.
In estrema sintesi, sono i contenuti del nuovo Regolamento AgCom approvato dall’Autorità Garante per le Comunicazioni il 19 gennaio 2023, ora sottoposto a consultazione pubblica.
Vediamo cosa prevede.
Aggregatori web: equo compenso agli editori
Il nuovo Regolamento AgCom si basa sull‘articolo 43-bis del dlgs 177/2021, che recepisce la Direttiva UE sul Copyright (articolo 15 direttiva UE 2019/790). Disciplina l’equa distribuzione del valore generato dallo sfruttamento web di una “pubblicazione di carattere giornalistico” tra gli editori (titolari dei diritti) e le piattaforme che veicolano tali contenuti online.
In particolare, l’articolo 15 introduce per gli editori il riconoscimento dei diritti di riproduzione e comunicazione al pubblico (già previsto dalla direttiva 2001/29/CE per altre categorie di titolari), colmando lo squilibrio di ricavi (value gap) tra le piattaforme online e i titolari dei diritti sulle pubblicazioni giornalistiche.
Il regolamento del Garante ha l’obiettivo di incentivare gli accordi fra editori e utilizzatori dei contenuti, con uno schema flessibile per la determinazione dell’equo compenso, adattabile alle diverse esigenze delle parti e caratteristiche di prestatori ed editori, facilitando le negoziazioni. Al contempo, viene garantito un metodo certo per quantificarlo qualora mancasse l’intesa.
Come si calcola l’equo compenso agli editori
La base di calcolo è rappresentata dai «ricavi pubblicitari del prestatore (la piattaforma web, come ad esempio Google o Facebook) derivanti dall’utilizzo online delle pubblicazioni dell’editore, al netto dei ricavi attribuibili al traffico di reindirizzamento generato sul proprio sito dalle pubblicazioni utilizzate dal prestatore.
Su questi ricavi si stabilisce una quota massima del 70%, che si basa su criteri predeterminati:
- numero di consultazioni online delle pubblicazioni (da calcolare con le pertinenti metriche di riferimento);
- rilevanza dell’editore sul mercato (audience on line);
- numero di giornalisti inquadrati ai sensi di contratti collettivi nazionali di categoria;
- costi comprovati sostenuti dall’editore per investimenti tecnologici e infrastrutturali destinati alla realizzazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online;
- costi comprovati sostenuti dal prestatore per investimenti tecnologici e infrastrutturali dedicati esclusivamente alla riproduzione e comunicazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online;
- adesione e conformità, dell’editore e del prestatore, a codici di autoregolamentazione (inclusi i codici deontologici dei giornalisti) e a standard internazionali in materia di qualità dell’informazione e di fact-checking;
- anni di attività dell’editore in relazione alla storicità della testata.
Regole a parte per le rassegne stampa
Ci sono poi regole diverse per la ripubblicazione dei contenuti giornalistici da parte dei servizi di media monitoring e delle rassegne stampa. In questo caso la base di calcolo è individuata nel fatturato derivante dalle attività connesse e non c’è un’aliquota di riferimento.
L’Autorità suggerisce di considerare le aliquote di mercato già consolidate, garantendo così una certa flessibilità per tenere conto dei diversi contesti e platee di editori e imprese coinvolte, nonché dei differenti tipi di pubblicazione di carattere giornalistico (fonte online, articolo con clausola di riproduzione riservata, articolo liberamente riproducibile).