Una manovra a tappe forzate, con iter più che dimezzato dovuto alla sovrapposizione con l’inizio della legislatura. Ma al di là di questo, entrando nel merito, la Legge di Bilancio 2023 si caratterizza per quello che anche l’Europa ha evidenziato: misure contro la crisi energetica in un cornice di prudenza sui conti pubblici.
Se due terzi dei 35 miliardi a disposizione sono destinati al sostegno di famiglie e imprese attanagliate da inflazione e caro prezzi, a sollevare perplessità sono le altre misure, ossia quel consistente terzo della Manovra che, soprattutto su fisco e pensioni, presentano problemi di redistribuzione e equità e non imprimono un chiaro indirizzo di politica economica per il medio lungo periodo (continuare a tagliare le tasse abbandonando la logica della progressività e quindi ridurre anche le spese? Quali spese? Come? E come si intende impostare l’annunciata riforma pensioni?).
Vediamo tutto.
Le scelte sui conti pubblici
I 21 miliardi destinati alle misure contro il caro energia vengono finanziati a deficit, ma senza ricorrere a scostamenti di bilancio. Una linea, appunto, prudente, a fronte di una situazione internazionale ancora molto incerta, che prevedibilmente potrebbe comportare già nel primo semestre del prossimo anno ulteriori spese per nuove misure anti inflazione. In un paese ad alto debito, e a fronte di una crescita che per i prossimi 12 mesi si riduce parecchio dopo due anni di accelerazione, e con una frenata fino a pochi mesi fa non immaginabile, la scelta appare sensata. E ha già portato un primo risultato, l’approvazione senza riserve di Bruxelles, che a sua volta mette al riparo i conti pubblici da condizionamenti della commissione Ue.
L’altra scelta prudente è stata quella di finanziare ogni misura con risorse che arrivavano dallo stesso capitolo di bilancio: risparmi fiscali per le misure fiscali, tagli alla rivalutazione pensioni per la flessibilità in uscita, e così via. Anche qui, un rigore sui conti che mette al riparo da possibili rilievi anche da parte della Corte Costituzionale. Che, per fare un esempio, negli anni scorsi aveva ritenuti illegittimi i tagli alla rivalutazione previsti dalla riforma Fornero non solo perchè considerati non in linea con i principi di equità e proporzionalità che devono essere previsti in base al dettato costituzionale, ma anche perchè non si possono usare i soldi delle pensioni per finanziare altre tipologie di misure.
Dunque, a dover dare le pagelle come si fa dopo le partite di calcio (visto che siamo ancora in clima di post campionato del mondo), il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti risulta promosso a pieni voti. Come molti sottolineano, ha seguito la linea già prevista dal precedente Governo Draghi, di cui era ministro dello Sviluppo economico.
Le risorse concentrate sul caro energia
C’è un altro aspetto della manovra, sottolineato dalla premier Giorgia Meloni in sede di presentazione dopo l’approvazione del Governo lo scorso 22 novembre. «Abbiamo fatto delle scelte politiche», ha detto. E’ vero: non solo la decisione di non ricorrere a scostamenti di bilancio è, oltre che tecnica (e corrispondente alla formazione di Giorgetti), anche politica (Meloni ha sempre sostenuto questa linea, anche in campagna elettorale). Anche la decisione fondamentale di destinare la maggioranza delle risorse al caro energia è, a sua volta, politica.
L’Italia, in base alla relazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, nel 2022 ha spese decisamente più di Germania, Francia e Spagna per contrastare il caro energia (in termini di percentuale sul PIL), mentre nel 2023 viene superata dalla Germania, che però ha già pianificato misure (come le riduzioni dell’IVA) applicabili per tutto il prossimo anno, mentre la manovra italiana proroga le agevolazioni al solo primo trimestre 2023. Prevedendo, quindi, di intervenire nuovamente (c’è in questo senso un preciso impegno del Governo) in modo flessibile rispetto all’andamento dell’economia nei prossimi mesi. Insomma, sul fronte del caro energia lo sforzo è notevole, e viene anch’esso sottolineato dalle considerazioni della Commissione di Bruxelles sulla manovra. E’ un altro elemento di continuità rispetto al Governo Draghi.
=> Legge di Bilancio 2023, tutte le modifiche approvate
E qui iniziano le note dolenti, perchè le altre misure previste dalla manovra, invece, si discostano dalla linea sopra descritta. Su fisco, lavoro, pensioni, imprese, le scelte politiche sembrano maggiormente condizionate dalle richieste degli alleati di maggioranza.
Spieghiamo meglio: dei conti pubblici, fondamentalmente, si è occupato il ministro dell’Economia, seguendo una linea precisa che Giorgia Meloni aveva già presentato in campagna elettorale. Sul caro energia c’è stato un accordo generale. La messa a punto delle altre misure, invece, è stata maggiormente dibattuta. Flat tax e tetto al contante sono cavalli di battaglia della Lega, la flat tax incrementale è invece un’idea di Fratelli d’Italia, la tregua fiscale va probabilmente incontro a richieste che arrivano da Forza Italia, le misure sulla famiglia piacciono ai centristi, sulle pensioni sono state recepite istanze trasversali, per esempio di Lega a Fratelli d’Italia.
Queste, perlomeno, sono le impressioni in base al dibattito che si è sviluppato negli ultimi mesi sulla manovra. Più che una sintesi efficace, il Governo ha sommato le diverse richieste, al massimo moderandole.
Le tasse una alla volta
Ora, all’interno di queste misure, quelle di maggior impatto sono il fisco e le pensioni. Sul primo fronte, si può dire che la linea non sia stata per niente draghiana. L’ex premier, nel suo primo discorso al Parlamento, in cui presentò le linee programmatiche, sottolineò che non gli sembrava una buona idea cambiare le tasse una alla volta.
Invece, la Legge di Bilancio cambia le tasse una alla volta, allargando il gap fra il meccanismo progressivo dell’IRPEF e quello della tassa piatta, quindi continuando fra le altre cose a differenziare la tassazione di lavoro dipendente e autonomo, e introducendo anche una nuova tassa, la flat tax incrementale.
Va detto che, rispetto agli annunci della vigilia, le norme sulla flat tax sono state contenute (si parlava di estenderla fino a 100mila euro). Considerando che questo 2023 ha visto cadere un Governo, in Gran Bretagna, dopo 45 giorni, proprio su un tentativo di ridurre le tasse in modo poco progressivo, a vantaggio dei redditi alti, senza adeguate coperture, in una fase recessiva, aver limitato l’intervento sulla flat tax è stata una scelta saggia.
L’indirizzo impresso però, si discosta dall’esigenza di una riforma complessiva e organica: la legge delega predisposta nella scorsa legislatura è rimasta per lunghi mesi in Parlamento senza arrivare ad approvazione, e ora la manovra si incanala in una direzione che non prefigura una politica fiscale chiara.
La tregua fiscale è pensata per fare cassa, e bisogna vedere fino a che punto il risultato sarà raggiunto. E’ uno degli aspetti della manovra criticati dall’Europa, ma non solo. La necessità di contrastare l’evasione fiscale è sottolineata da tutte le parti sociali (sindacati ma anche imprese), e le misure della tregua fiscale non vanno in questo senso. Fra l’altro, par di capire, finanziano fondamentalmente le due flat tax, oltre che il taglio del cuneo, che è invece l’unica misura fiscale a inserirsi nel solco delle politiche degli ultimi anni, e ad avere anche un valore di stimolo alla crescita dell’economia reale.
I tagli alle pensioni medie
Le misure sulle pensioni chiedono sacrifici a chi ha trattamenti previdenziali sopra i 2mila 100 euro, con una rivalutazione limitata rispetto alla regole di quest’anno che mira a contenere la spesa previdenziale a fronte del rialzo dell’inflazione.
Le pensioni sopra i 2.100 euro perdono potere d’acquisto nel 2023. Si tratta di redditi medi, non solo di redditi alti, quindi della parte di popolazione su cui insiste maggiormente anche il sistema fiscale (come sottolinea l’ultimo report di Itinerari Previdenziali). E comunque si tratta di pensioni già in essere, quindi di diritti acquisiti, costituzionalmente garantiti, e sui cui invece ormai da anni i Governi intervengono con una certa disinvoltura (in teoria, interventi di questo tipo dovrebbero essere previsti solo come estrema ratio).
C’è, per contro, l’innalzamento delle pensioni minime per gli over 75, e la salvaguardia del potere d’acquisto dei trattamenti fino a quattro volte il minimo. Gli altri interventi sulle pensioni sono la proroga, attesa, dell’Ape sociale, e le modifiche a Opzione Donna e quota 1012, che diventa 103. Era praticamente obbligatorio riproporre strumenti di flessibilità in uscita, le esigenze di bilancio hanno portato a restringere parecchio la platea delle precedenti Opzione Donna e quota 102.
Riflessioni su pensioni e maternità
Sull’Opzione Donna sottolineiamo due aspetti: è stata eliminata la differenziazione fra lavoratrici dipendenti e autonome. E questo può essere considerato positivo (saranno poi le lavoratrici stesse a decidere se e quando agganciare questa forma id pensione anticipata, valutando esigenze e assegno maturato). E’ invece stato introdotto un nuovo meccanismo, che fino ad oggi non era stato previsto, legato alla presenza di figli e al loro numero. Va detto che questo principio viene applicato anche ad altre forme di pensionamento in alcuni casi.
Appare un po’ forzata una differenziazione legata alla maternità che interviene in sede di pensionamento, meglio sarebbe continuare a intervenire invece sulle tutele in costanza di rapporto di lavoro, e sulla ribilanciamento del lavoro di cura. Positiva, su questo fronte, la misura che riconosce sia ai padri sia alle madri la possibilità di alzare per un mese l’indennità di congedo parentale all’80% (inizialmente il ddl del Governo lo prevedeva per le sole madri). E in generale gli indirizzi degli ultimi anni che alzano i giorni di congedo obbligatorio per i padri quando nascono i figli.
Le misure per le imprese
Dopo anni di incentivi, questa manovra rappresenta una frenata, anche se il Governo ha già annunciato l’intenzione di intervenire nei primi mesi del 2023, ad esempio potenziando i crediti d’imposta 4.0 (che dal primo gennaio si riducono, a legislazione vigente). E’ invece stato anticipato il cammino verso al riduzione del Superbonus, che cala al 90% (qui lo strumento in realtà non è la manovra, ma il decreto Aiuti quater).
Qui l’esigenza è ancora una volta di bilancio, interviene su un cammino che era già stato intrapreso, di ritorno a una situazione di mercato ordinaria (l’impatto degli incentivi sull’edilizia ha centrato l’obiettivo di rilancio).
Sono poi intervenuti nuovi correttivi per far funzionare il mercato della cessione dei crediti, componente fondamentale di questa operazione di stimolo. Nel complesso, l’operazione appare quindi proporzionata e organica.
Le tappe forzate, fra Governo e Parlamento
Infine, l’iter della manovra. Non è possibile non parlarne, è un fatto del tutto eccezionale che una Legge di Bilancio venga approvata dal Governo a fine novembre. I tempi ordinari vedono come riferimento il 15 ottobre, in genere ci sono al massimo pochi giorni di ritardo. Ma se di solito i ritardi, che ormai puntualmente tutti gli anni si accumulano in sede di approvazione, sono da ricondurre alla poca efficienza del processo legislativo, questa volta c’è stato anche l’inizio della nuova legislatura. Il Governo si è insediato a metà ottobre, quando in genere è già pronta la manovra, e ha dovuto procedere con un calendario serratissimo, per di più dopo essersi appena formato.
Tenendo conto di questi fattori, ha pienamente rispettato i tempi. I problemi maggiori si sono manifestati durante il dibattito in commissione Bilancio, e qui torniamo alle inefficienze che ormai da anni si manifestano nel processo legislativo.
E’ un aspetto sul quale, non a caso, si sono concentrati diverse volte rilievi da parte del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ne ha parlato anche la senatrice a vita Liliana Segre, nel discorso con cui ha aperto la prima seduta del Senato (che ha presieduto).
L’esigenza sottolineata è quella di recuperare la centralità del Parlamento, Mattarella in questo senso ha ammonito i Governi che tendono a legiferare troppo per decreto, si può aggiungere che forse anche deputati e senatori potrebbero meglio interpretare il proprio ruolo: come detto sopra, la riforma fiscale si è arenata in Parlamento per mesi e il risultato è ora è tutta da rifare.
La discussione sulla manovra in commissione Bilancio è risultata molto complicata. Due esempi in qualche modo emblematici. Ne aggiungiamo un terzo: in realtà da diversi anni la manovra alla fine viene approvata da un solo ramo del Parlamento, proseguendo poi blindata da voti di fiducia. Un auspicio per il 2023 potrebbe partire da qua: un passo avanti nella dialettica fra Governo e Parlamento, e fra forze di maggioranza e di opposizione, che recuperi e valorizzi il ruolo del legislatore in una Repubblica parlamentare.