Il lavoratore ha diritto al risarcimento per infortunio sul lavoro se viene contagiato dal Covid, anche se ha rifiutato il vaccino: lo stabilisce l’INAIL, in relazione allo specifico caso degli infermieri no vax dell’ospedale San Martino di Genova, risultati positivi dopo aver rifiutato la somministrazione del vaccino anti Covid-19 (Sars-CoV-2). Un caso specifico ma di interesse generale, riguardando il rischio di contagio nei luoghi di lavoro. L’orientamento INAIL in materia è stato dunque espresso in una lettera indirizzata proprio all’ospedale, che ne aveva chiesto il parere, ma ha una portata più ampia.
All’INAIL, si legge nel documento, è stato chiesto «se e quali provvedimenti debbano essere adottati riguardo al personale infermieristico che non abbia aderito al piano vaccinale anti-Covid-19, considerato che, pur in assenza di una specifica norma di legge che stabilisca l’obbligatorietà della vaccinazione, la mancata adesione al piano vaccinale nazionale potrebbe comportare da un lato responsabilità del datore di lavoro in materia di protezione dell’ambiente di lavoro (sia per quanto riguarda i lavoratori, che i pazienti) e dall’altro potrebbe esporre lo stesso personale infermieristico a richieste di risarcimento per danni civili, oltre che a responsabilità per violazione del codice deontologico».
Gli assicurati hanno diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto assicuratore anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia adempiuto agli obblighi stabiliti nel presente titolo (principio di automaticità delle prestazioni).
Tuttavia, secondo l’INAIL, anche il lavoratore ha sempre diritto al risarcimento per infortunio, non c’è responsabilità del datore di lavoro che abbia adottato tutti i protocolli di sicurezza previsti. Così come era già stato fatto presente nei mesi scorsi, alla fine del primo lockdown nazionale ed in concomitanza con la redazione dei protocolli per le diverse attività produttive.
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Secondo l’INAIL, la tutela sugli infortuni è esclusa soltanto nel caso in cui l’infortunio sia doloso. Mentre protegge il lavoratore da ogni altro «infortunio sul lavoro, anche da quelli derivanti da colpa». In ogni caso, «il rifiuto di vaccinarsi non può configurarsi come assunzione di un rischio elettivo, in quanto il rischio di contagio non è certamente voluto dal lavoratore».
Né ci sono leggi che obbligano ad aderire alla vaccinazione. Quindi, il rifiuto di vaccinarsi, «configurandosi come esercizio della libertà di scelta del singolo individuo rispetto ad un trattamento sanitario, ancorché fortemente raccomandato dalle autorità, non può costituire un’ulteriore condizione a cui subordinare la tutela assicurativa dell’infortunato».
Attenzione: l’eventuale comportamento colposo del lavoratore (per esempio, relativo alla violazione dell’obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale) non comporta l’esclusione dall’assicurazione infortunistica, ma «può invece ridurre oppure escludere la responsabilità del datore di lavoro, facendo venir meno il diritto dell’infortunato al risarcimento del danno nei suoi confronti, così come il diritto dell’INAIL ad esercitare il regresso nei confronti sempre del datore di lavoro».
La pronuncia INAIL, in pratica, stabilisce che la scelta di non vaccinarsi contro il Covid non fa perdere il diritto all’assicurazione in caso di contagio, e nemmeno l’eventuale violazione (colposa, non dolosa) di altre norme, come l’obbligo dei dispositivi di protezione individuale. Ma il datore di lavoro, se ha adottato tutti i protocolli corretti, non è responsabile dell’eventuale contagio di un lavoratore che non abbia utilizzato le previste misure di sicurezza.
L’orientamento è da intendersi in termini generali, nel senso che non comporta «l’automatica ammissione a tutela del lavoratore che abbia contratto il contagio e non si sia sottoposto alla profilassi vaccinale». Per ogni singola situazione, «bisogna accertare concretamente la riconduzione dell’evento infortunistico all’occasione di lavoro».