I greci, che di leggi se ne intendono, con un tale Aristotele ebbero a dire: anche quando le leggi sono scritte, non dovrebbero mai rimanere immutate.
La legge n. 3 /2012 sul sovraindebitamento, conosciuta anche come “legge salva suicidi”, nella sua attuale formulazione, può davvero trasformarsi in un vero rompicapo per tutti gli addetti ai lavori, impegnati nel tentativo di adoperarsi per il superamento della crisi e per un fresh start, ossia una nuova partenza per l’imprenditore in difficoltà.
Il caso che mi ha fatto riflettere, riguarda un imprenditore con debiti legati all’attività d’impresa per i quali è obbligato in solido, in quanto derivanti da debiti contratti da una società nella quale riveste la qualifica di socio illimitatamente responsabile oltre, naturalmente, a debiti personali (IRPEF e INPS).
In particolare, i debiti sono tutti erariali e contributivi per un ammontare di circa euro 400mila euro, equamente suddivisi tra debiti della società e debiti personali: la finanza di cui dispone il debitore ammonta a 130mila euro, il debito per IVA in linea capitale a 100mila euro e debiti contributivi per 100mila euro, il residuo debito è a titolo di IRPEF.
Dunque, se ipotizziamo un piano che rispetti la par condicio creditorum, e quindi destiniamo le risorse per il pagamento dell’INPS, ci imbattiamo nel primo profilo di inammissibilità in quanto, l’articolo 7 della legge 3/2012 prevede, tra l’altro, che:
con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento.
Se, d’altro canto, decidessimo di pagare integralmente l’IVA in linea capitale, giusto il disposto di cui al citato art. 7, ci troveremmo di fronte al secondo profilo di inammissibilità, per violazione della par condicio creditorum.
=> Ddl sovraindebitamento: requisiti e procedura
A questo punto si potrebbe ipotizzare che Aristotele abbia davvero lasciato il segno, che il tribunale modifichi il proprio orientamento giurisprudenziale e, in linea con quanto previsto dal legislatore, nelle procedure di concordato preventivo, rendesse possibile la falcidia dell’IVA.
Ma, anche nella prospettata ipotesi di un mutamento giurisprudenziale ad opera del tribunale, la questione appare tutt’altro che risolta. Infatti, affinché il nostro piano vada a buon fine, lo stesso dovrà essere approvato dal 60% dei creditori.
Un ipotetico mutamento giurisprudenziale ci consentirebbe di pagare parzialmente il debito IVA ma ci troveremmo a pagare il creditore INPS e solo in parte il credito vantato dall’Erario, con il risultato che l’Agenzia delle Entrate voterebbe negativamente sull’assunto che, in assenza di una modifica legislativa, la falcidia del credito IVA non sia ammissibile e, quindi, il nostro piano di accordo con i creditori subirebbe un definitivo arresto.
Mentre, la nota circolare dell’INPS esprime chiaramente il proprio concetto con l’obbligo di esprimere il voto contrario in presenza di una proposta concordataria che preveda la soddisfazione parziale dei crediti contributivi. In definitiva, nel caso in esempio, un record sarebbe possibile: il voto negativo del 100% dei creditori.
Al nostro debitore, nell’attuale formulazione della legge 3/2012, non resta che una possibilità: quella di trovare delle risorse esterne che gli consentano di pagare integralmente l’Iva in linea capitale, degradando tutti i restanti creditori al chirografo e ripartendo in percentuale la residua finanza disponibile. Ma, forse, se avessimo avuto risorse esterne sin dal principio, non saremmo nemmeno mai stati dei sovraindebitati.
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