Basta provare la notifica sulla casella PEC, anche mediante una semplice fotocopia ed anche se allegata in formato PDF, per rendere valida la cartella esattoriale. E’ quanto affermato dai giudici della Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia, con la pronuncia n. 1847/2019
Nel caso esaminato, i giudici hanno ritenuto giuridicamente valida la conoscenza degli atti impugnati, anche alla luce dell’istanza di rateazione presentata dal contribuente, e hanno chiarito che è sufficiente la produzione della ricevuta di avvenuta consegna per provare che il messaggio è stato effettivamente consegnato al destinatario.
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Il caso
Il caso riguardava una serie di cartelle di pagamento e di avvisi di accertamento, notificati ad una società che sosteneva di essere venuta a conoscenza del credito erariale solo a seguito di richiesta di estratto di ruolo e pertanto riteneva che gli atti non fossero validi perché non regolarmente notificati.
Ovviamente, diversa la posizione del Fisco che aveva, in propria difesa, presentato:
- le copie degli atti di riscossione;
- copia delle ricevute di notifica;
- copia dell’istanza di rateizzazione presentata dalla società contribuente in relazione al credito in questione, fatto questo che dimostrava inequivocabilmente la conoscenza del debito da parte del ricorrente.
La Ctp aveva già respinto il ricorso, ritenendo infondate le contestazioni della contribuente che quindi aveva presentato appello insistendo sulla mancanza della prova di perfezionamento delle notifiche degli atti impositivi impugnati effettuate via PEC.
In particolare veniva posta in dubbio la validità degli atti impositivi perché in formato pdf e non p7m, necessario per dimostrare l’apposizione di firma digitale sui files e l’autenticità dei documenti.
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Validità PEC e formato pdf
I giudici di secondo grado hanno però confermato che il ricorso deve essere respinto, ribadendo la legittimità della notifica di un atto impositivo attraverso PEC e del’atto allegato in formato pdf, invece che p7m, ritenendolo idoneo a garantire l’autenticità del documento trasmesso. Nella pronuncia, i giudici ricordano che già le sentenze della Cassazione nn. 3805/2018 e 10266/2018, avevano equiparato i due formati ai fini della validità della trasmissione del file tramite PEC, stabilendo che:
Secondo il diritto dell’UE e le norme, anche tecniche, di diritto interno, le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES, sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni p7m e pdf, e devono, quindi, essere riconosciute valide ed efficaci, anche nel processo civile di cassazione, senza eccezione alcuna.
Validità ricevute consegna
A tutto questo si aggiunge la precisazione che le ricevute di avvenuta consegna sono sufficienti a dimostrare il perfezionamento della notifica, fornendo una prova valida che il messaggio sia stato effettivamente consegnato all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario, senza che debba essere dimostrata anche l’effettiva natura e presa visione dei documenti, al pari di quanto avviene per le notifiche effettuate non a mezzo PEC.
Validità fotocopie
Valido anche l’utilizzo delle fotocopie non autenticate, invece degli originali delle ricevute di notificazioni e degli atti impositivi. Questo metodo vine ritenuto valido, in linea con altre pronunce della Cassazione (cfr, Cassazione 8861/2016), solo:
Ove manchi contestazione in proposito, poiché la regola posta dall’art. 2719 codice civile – per la quale le copie fotografiche o fotostatiche hanno la stessa efficacia di quelle autentiche, non solo se la loro conformità all’originale è attestata dal pubblico ufficiale competente, ma anche qualora detta conformità non sia disconosciuta dalla controparte, con divieto per il giudice di sostituirsi nell’attività di disconoscimento alla parte interessata, pure se contumace – trova applicazione generalizzata per tutti i documenti.
I giudici aggiungono inoltre che:
Non può trascurarsi un altro principio affermato sempre dalla giurisprudenza di legittimità, per cui “il disconoscimento della conformità di una copia fotografica o fotostatica all’originale di una scrittura, ai sensi dell’art. 2719 c.c., non ha gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata previsto dall’art. 215 c.c., comma 1, n. 2), giacché mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione, preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione di cui all’art. 2719 c.c. non impedisce al giudice di accertare la conformità a/l’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni “‘. Ciò con la conseguenza che “l’avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all’originale, tuttavia, non vincola il giudice all’avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l’efficacia rappresentativa (cfr. Cass. nn. 9439/2010 e 2419/2006)” (sul punto vedasi anche Cass., n. 23046/2016).