Ci sono diverse particolarità più o meno inedite di questa Legge di Bilancio 2019, che sta per arrivare nell’Aula della Camera dei Deputati: la più evidente è nota è rappresentata dalla bocciatura europea, con il rischio di una procedura d’infrazione. Ma a ben vedere c’è un altro fatto rilevante: al momento, in manovra non ci sono i provvedimenti maggiormente rappresentativi delle politiche economiche del Governo, a più riprese annunciati come il cardine stesso attorno al quale doveva ruotare l’intero impianto della Legge di Bilancio, ovvero il reddito di cittadinanza e la Riforma Pensioni. Si tratta di due elementi strettamente collegati: le due misure, in base al testo del Ddl messo a punto dal Governo, sono finanziate a deficit, e Bruxelles proprio sul disavanzo ha acceso i riflettori, chiedendo una correzione al ribasso. Risultato: le due misure più attese della manovra 2019 ancora non si conoscono.
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E qui siamo alla terza peculiarità: non è che il Governo sia tornato sui propri passi, rinunciando alle riforme annunciate, e rinviandole magari all’anno prossimo (questo non sarebbe particolarmente originale come fatto nel paese delle proroghe e dei rinvii). Semplicemente, non le ha ancora messe definitivamente a punto, proprio in considerazione della trattativa con Bruxelles che dovrà evitare la procedura di infrazione.
Quindi, per riassumere, le due misure fondamentali previste dalla manovra economica 2019 ci saranno, ma ancora non sono pronte. Non sono rientrate nel testo del Ddl approvato dal Governo,e nemmeno negli emendamenti presentati in commissione. Ora i casi sono due: o rientreranno fra le modifiche apportate dall’Aula di Montecitorio, dove la discussione inizia domani, 5 dicembre, oppure durante il passaggio al Senato. Nel frattempo (e qui rientriamo nell’ordinaria amministrazione), il dibattito su come verranno modulate le due misure è particolarmente acceso, e si sprecano le anticipazioni e le smentite. Cerchiamo di fare ordine, per capire quali sono al momento i termini della questione.
La Legge di Bilancio, al momento, prevede 9 miliardi all’anno per il reddito di cittadinanza, mentre per la Riforma Pensioni ci sono 6,7 miliardi nel 2019 e 7 miliardi a partire dal 2020. Risorse che però, di fatto, arrivano in buona parte del rapporto deficit/PIL al 2,4%. Abbassare questa asticella, significa anche ridurre le spese, e i tagli, pare, si concentreranno proprio su queste due misure. Il problema è quanti soldi il Governo deve risparmiare, e come rimodulerà di conseguenza i diversi interventi. I calcoli in questi giorni si sprecano: se il deficit/PIL si abbassasse di due punti, portandosi al 2,2%, ci vorrebbero circa 3,6 miliardi, per arrivare al 2%, i miliardi da risparmiare sarebbero invece almeno 7. Nei prossimi giorni sapremo in che modo cambiano i numeri della manovra, per ora l’unica certezza consiste nel fatto che, appunto,¢ambieranno, a spese di reddito di cittadinanza e riforma pensioni.
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Il dibattito sul reddito di cittadinanza sembra indicare che, in questo caso, per risparmiare si farà slittare la misura (che non partirà da gennaio). Probabile anche una forma di premialità per le imprese che assumono i percettori del reddito di cittadinanza, per collegare maggiormente la misura al mondo del lavoro. In realtà, sul fronte del reddito di cittadinanza ci sono già novità in sede di emendamenti, con uno stanziamento per effettuare 4mila assunzioni nei centri per l’impiego.
Più complesso il discorso sulle pensioni. La quota 100, che consentirà di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi, sembra destinata ad essere ridimensionata. I paletti previsti: divieto di cumulare redditi da lavoro fino al compimento dell’età pensionabile, anche in questo caso con uno slittamento (primi assegni previsti in aprile), e ora spunta anche l’ipotesi di una misura a tempo, solo per tre anni. Dopo i quali, arriverà la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi. L’Opzione Donna, di cui il Giverno ha annunciato la proroga, potrbbe anch’essa essere meno favorevole del previsto, con uno slittamento dei termini al 2016, e non al 2018 (significa che bisogna aver maturato i requisiti, ovvero 35 anni di contributi e 57 o 58 anni di età, per lavoratrici dipendenti e autonome), entro il 31 dicembre 2016. Attualmente il paletto è al 31 dicembre 2015, le attese erano per una proroga almeno a fine 2018. Si continua a parlare anche di proroga dell’Ape sociale al 2019 (a legislazione vigente, la misura è sperimentale fino al 31 dicembre 2018). Infine, il taglio alle pensioni d’oro, sopra i 90mila uro annui, che dovrebbe diventare una sorta di prelievo di solidarietà, con un taglio differenziato in base agli scaglioni di reddito.
Le certezze si avranno nei prossimi giorni: come detto la manovra arriva nell’aula di Montecitorio il 5 dicembre. Si prevede un passaggio molto rapido, poi il testo andrà al Senato. Fondamentale la data del 19 dicembre, giorno dell’ultima riunione dell’anno della Commissione UE, che in mancanza di un accordo potrebbe formalizzare la richiesta al Consiglio di aprire la procedura d’infrazione.