Fra i capitoli più caldi della riforma previdenziale in arrivo con la prossima legge di Bilancio, c’è il taglio delle pensioni d’oro, su cui si scalda il dibattito, con il vicepremier, Luigi Di Maio, che insiste sulla proposta pentastellata di agire sui trattamenti superiori ai 4mila euro netti.
C’è anche una controproposta, formulata da Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali, che invece pensa a una misura una tantum (una sorta di prelievo di solidarietà), partendo dagli assegni superiori ai 2mila euro netti.
E c’è un possibile punto d’incontro, rappresentato dall’idea del presidente della commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi, che avanza l’ipotesi di un taglio da applicare a trattamenti più alti, dai 5mila euro netti al mese. Vediamo i termini del dibattito.
Il punto di partenza è rappresentato da un disegno di legge presentato alla Camera dalle forze di maggioranza, in base al quale la decurtazione dovrebbe riguardare le pensioni superiori agli 80mila euro annui (significa, appunto, circa 4mila euro netti al mese), solo nel caso in cui non corrispondano ai contributi versati. Semplificando un po’, la proposta in pratica applica il sistema contributivo a coloro che sono già in pensione, e hanno assegni superiori alle cifre sopra citate.
Secondo uno studio di Itinerari Previdenziali, firmato da Alberto Brambilla, Gianni Geroldi e Antonietta Mundo, si tratta di una rimodulazione delle regole retroattiva, e quindi di
un’operazione che può presentare una lesione della certezza del diritto e profili di incostituzionalità.
Si tratta di una considerazione da non sottovalutare, anche alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale degli ultimi anni, che hanno ad esempio bocciato il blocco della rivalutazione della pensioni di fine 2011, che toccando i trattamenti superiori a tre volte il minimo è stato ritenuto non rispettoso dei principi di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza previsti dalla Costituzione.
La stessa Corte ha, con altre sentenze, ritenuto invece legittimo il blocco della rivalutazione sopra le sei volte il minimo, facendo prevalere la necessità di salvaguardare i conti pubblici. Ma in questo caso il discorso è diverso, perché la proposta di legge delle forze di maggioranza non prevede una misura una tantum, ma di fatto un ricalcolo delle pensioni già in essere.
Tornando al dibattito, come detto il punto di incontro potrebbe essere rappresentato dall’innalzamento della soglia oltre la quale far scattare il taglio: non più 4mila euro, ma 5mila euro al mese. Una misura, quindi, che sarebbe comunque retroattiva, toccando quindi trattamenti in essere, ma tutelerebbe maggiormente i principi di proporzionalità e adeguatezza.
Bisogna vedere se e in che modo proseguirà il dibattito, anche alla luce delle altre misure di Riforma Pensioni che il Governo prepara, e che deve ancora decidere in che modo modulare in vista della manovra economica: sembra probabile che la quota 100 venga inserita nella Legge di Bilancio (nhe qui, bisogna vedere in che modo verrà modulata la norma), mentre dovrebbe slittare ai prossimi anni l’uscita con 41 anni di contributi.