Licenziamento: cosa cambia con il Decreto Dignità

di Anna Fabi

Pubblicato 10 Luglio 2018
Aggiornato 13 Settembre 2018 16:01

Il decreto Dignità irrigidisce le norme relative a contratti a termine, somministrazione e a tutele crescenti con l'obiettivo di contrastare la precarietà: come cambiano le indennità risarcitorie in caso di licenziamento illegittimo.

Il decreto Dignità prevede tra le varie misure un irrigidimento delle regole sul lavoro con l’obiettivo di contrastare la precarietà. Un provvedimento sul quale il dibattito è ancora molto acceso, con tensioni anche all’interno della stessa maggioranza, con i rappresentanti della Lega preoccupati per l’impatto negativo del decreto sul mondo produttivo a fronte delle forti critiche sollevate dalle imprese dell’artigianato, dell’alimentare, dell’industria, del terziario e dalle Agenzie per il lavoro.

Ad essere coinvolti dalle nuove norme sul lavoro sarebbero non solo, come noto, i contratti a termine ma anche quelli a tutele crescenti introdotti con il Jobs Act, con novità anche per quanto riguarda i licenziamenti.

Licenziamenti: le novità del decreto Dignità

In particolare, in caso di licenziamento illegittimo, la legge prevede che il giudice condanni il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria, non soggetta a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio. Con il decreto Dignità l’indennità massima salirebbe a 36 mesi, contro le attuali 24 mensilità, e la minima potrebbe salire da 4 a 6 mensilità.

Ad escludere per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio è stata la legge delega 10 dicembre 2014, n. 183, alla lett. c) del comma 7 dell’art. 1. Ora il decreto Dignità (articolo 3, come 1) aumenta i valori assoluti dell’indennità risarcitoria, sia nell’importo minimo che in quello massimo.

Il diritto alla reintegrazione resta in caso di licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato.

Il decreto Dignità non interviene sulle indennità previste in caso di licenziamento intimato violando il requisito di motivazione o con un vizio di procedura, per le quali l’importo è pari a una mensilità della retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità.

Restano valide anche le offerte di conciliazione previste dall’art. 4 del D.Lgs. n. 23/2015.

Decreto Dignità: stretta ai contratti a termine

Per i contratti a termine la durata massima scende da 36 a 24 mesi, le causali sono previste solo dopo il primo rinnovo dopo i primi 12 mesi senza causalone (rispetto agli attuali 36 mesi). Il rinnovo del contratto per ulteriori 12 mesi deve essere giustificato da una delle seguenti ragioni:

  • temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro, nonché sostitutive;
  • connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria;
  • relative a lavorazioni e a picchi di attività stagionali.

In più le proroghe dei contratti a termine scenderanno da 5 a 4 e si applicherà un aumento del costo contributivo di 0,5 punti per ogni rinnovo.

Le nuove disposizioni di applicheranno ai contratti di lavoro a tempo determinato sottoscritto o rinnovato dopo l’entrata in vigore del decreto.

La stretta di contatti a termine del decreto Dignità, precisa però Di Maio:

Non potrà prescindere dall’abbassamento del costo del lavoro nella Legge di Bilancio per consentire alle persone di avere contratti con più tutele possibile.

I contratti di somministrazione vengono di fatto equiparati ai contratti a termine e saranno soggetti agli stessi vincoli e le Agenzie per il lavoro potranno avere fino al massimo del 20% di assunti con contratti a termine, rispetto all’organico complessivo assunto a tempo indeterminato.