Anche il sarcasmo dei colleghi di lavoro può essere considerato vero e proprio mobbing. Lo sottolinea la Corte di Cassazione con una recente ordinanza (n. 16247 del 20 giugno 2018) emessa a favore del dipendente di una SpA oggetto di svariati commenti per aver collezionato un numero eccessivo di assenze per malattia dovuti a più infortuni avvenuti sul lavoro.
Andando contro l’iniziale decisione della Corte d’Appello, che aveva negato il risarcimento per danno da mobbing, la Cassazione ha ritenuto plausibile la richiesta del dipendente, protagonista suo malgrado di manifestazioni ostili da parte di altri dipendenti.
In particolare, secondo la Corte d’Appello le considerazioni sarcastiche pronunciate dai colleghi potevano essere considerate critiche legittime espresse in modo civile, fermo restando che lo stesso dipendente destinatario dei commenti si era rifiutato di svolgere alcune mansioni ritenute dequalificanti.
Gli Ermellini, invece, nell’ordinanza hanno messo in evidenza come le certificazioni mediche prodotte per giustificare le assenze fossero del tutto regolari, evidenziando anche l’effettiva incongruenza tra le qualifiche e la richiesta di occuparsi di mansioni estranee al bagaglio di competenze del lavoratore.
Allo stesso tempo, la Cassazione ha ritenuto che le reazioni di sarcasmo dei colleghi non possono essere considerate comportamenti leciti e ammissibili, atteggiamenti non tollerabili e sufficientemente vessatori per poter parlare esplicitamente di mobbing.
La decisione, quindi, è stata quella di rinviare la causa alla Corte d’Appello per un riesame delle motivazioni.