Redditi online: violazione privacy senza rimborso

di Barbara Weisz

14 Giugno 2018 09:10

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Dichiarazioni dei redditi diffuse online: alla violazione privacy del Fisco (anno d'imposta 2005) non corrisponde un risarcimento danni se richiesto tramite azione collettiva (es.: class action): la sentenza di Cassazione.

L’Agenzia delle Entrate ha violato la privacy dei contribuenti pubblicando online sul suo sito Internet gli elenchi delle dichiarazioni dei redditi per l’anno 2005: lo stabilisce la Corte di Cassazione, con una sentenza che ribadisce un orientamento giurisprudenziale già espresso. Il Garante intervenne infatti subito, facendo oscurare gli elenchi e chiedendo sanzioni per il Fisco.

Con la sentenza arriva però anche un parere negativo sui ricorsi presentati dal Codacons: è stata infatti bocciata la class action che chiedeva il risarcimento dei contribuenti (fino a 20 miliardi di euro): si tratta di un diritto individuale, che non può essere materia di azioni collettive.

La Cassazione (ordinanza 15075/18) stabilisce che, pubblicando gli elenchi, l’Agenzia delle Entrate «sia andata ben al di là dei propri obblighi», perché una cosa è la diffusione dei dati «a livello locale presso ciascun ambito territoriale interessato in relazione alla residenza dei singoli contribuenti, e tutt’altra è, invece, la divulgazione» online.

Il Fisco ha sostanzialmente stabilito, rispetto alla norma, un’ulteriore forma di pubblicazione degli elenchi dei contribuenti che «oltre a non essere prevista, era potenzialmente idonea a danneggiare i singoli ed ha ampiamente oltrepassato i vincoli territoriali e temporali» previsti dagli articoli 69 del Dpr 600/1973 e 66-bis del Dpr 633/1972. Con la pubblicazione online:

quegli elenchi hanno avuto, per le caratteristiche proprie della rete, una diffusione certamente ben superiore rispetto ai limiti territoriali (ciascun comune interessato) e temporali (un anno) imposti dall’appena riportata normativa, così violandosi non solo i principi e le regole che presiedono al trattamento dei dati personali ma anche le specifiche norme che, nel caso di specie, miravano a scongiurare una consultazione indiscriminata dei suddetti dati, rendendoli fruibili per tempi più lunghi oltre che per finalità (anche) ben diverse da quelle avute di mira dal legislatore.

La Cassazione, in linea con la decisione del Tribunale di Roma, sottolinea che il diritto alla privacy è individuale e personale, non può dunque essere oggetto di un’azione giudiziaria di categoria, come la class action del Codacons.