Commette un reato il trasportatore che firma il documento per attestare l’avvenuto pagamento e spedizione dei beni, essendo a conoscenza che lo stesso era “fittizio simbolo di uguaglianza”.
Il fatto riguarda un imputato che trasportava merce presso un agriturismo e spesso aveva firmato quietanze di pagamento su fatture risultate poi false.
Il tribunale e la Corte d’appello, con una doppia conferma, avevano condannato per complicità in evasione fiscale un trasportatore di merci per aver firmato quietanze di pagamento su fatture risultate poi false.
Nel successivo ricorso per Cassazione, l’indagato lamentava che la sentenza impugnata avesse ritenuto ammissibile il concorso di persone nel reato in capo al medesimo soggetto, ma la anche Suprema Corte ha respinto il ricorso: secondo consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di emissione di fatture per operazioni inesistenti, il regime disciplinato dall’articolo 9 (che esclude la possibilità di concorso reciproco fra reato portato dall’articolo 2 e quello previsto dall’articolo 8), ha la finalità di evitare che la medesima condotta sostanziale sia punita due volte per distinti titolo di reato, ma non introduce alcuna deroga ai principi generali in tema di concorso di persone nel reato, fissati dall’articolo 110 del codice penale.
La Corte ha pertanto riconosciuto la ricorrenza dei presupposti di legge per la conferma dei reati.
Infatti, la regolarità dell’emissione della fattura non è influenzata nella sua struttura ontologica dalla sottoscrizione per quietanza, atteso che quest’ultima, a fronte di un rapporto fittizio, serve evidentemente a rendere credibile l’esistenza di un rapporto reale che giustifica l’emissione della fattura. La quietanza è un documento che non svolge un ruolo probatorio in ambito tributario, ma solo in un altro contesto.