L’occultamento delle scritture contabili, anche se effettuato dall’amministratore dell’azienda al di fuori della responsabilità amministrativa dell’ente, fa scattare la confisca per equivalente sui beni dell’azienda stessa. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza emessa a fine luglio, confermando il provvedimento su una cooperativa il cui amministratore aveva effettuato “occultamento e distrazione di alcune scritture contabili”.
Il reato, pur non previsto tra le ipotesi di responsabilità amministrativa delle imprese previste dalla legge 231, è stato considerato comunque idoneo a far scattare la confisca: la Corte ha infatti ritenuto irrilevante che alla cooperativa in questione non fosse ascritta alcuna responsabilità amministrativa, sottolineando quanto fosse rilevante invece che l’occultamento delle scritture avesse creato all’azienda un profitto.
Se dunque il reato è addebitabile all’indagato ma le conseguenza patrimoniali dello stesso ricadono sulla società per la quale egli lavora, il fisco può chiedere la confisca dei beni. Questo principio è sempre valido a meno che non si dimostri che c’è stata una “rottura del rapporto organico tra l’azienda e la persona fisica che agisce“.
Partecipando all’utilizzo degli incrementi economici che sono derivati dal reato, l’azienda ottiene infatti un vantaggio. Vantaggio che non riguarda più il singolo individuo che ha operato l’illecito ma si estende a tutta l’organizzazione, andando ad incidere positivamente sul bilancio aziendale. Il sequestro, in conseguenza di ciò, non può che essere disposto per equivalente.