Sequestro preventivo del capitale sociale, legittimato dalla Cassazione lo scorso mese con una sentenza di confisca di beni e capitale a seguito di indebita compensazione IVA per crediti inesistenti.
Con un’ulteriore sentenza, infatti, la Cassazione ha ammesso un nuovo giro di vite sulla confisca per equivalente: perché scatti il sequestro, è sufficiente che esista una sproporzione fra i possedimenti dell’imprenditore che abbia commesso fatti illeciti e la sua dichiarazione dei redditi.
Non è necessario, quindi, dimostrare che gli acquisti derivano dal reato.
Nel caso specifico, l’imprenditore condannato si era opposto al sequestro preventivo sostenendo che i beni personali in oggetto (tre appartamenti) non avevano alcuna derivazione illecita. Giustificazione, questa, risultata insufficiente per i giudici, secondo i quali “la confisca non è correlata alla derivazione dei beni relativi al singolo episodio criminoso”, ma piuttosto “alla sola condanna del soggetto che di quei beni dispone”.
In altre parole, non c’è alcun bisogno per il giudice di ricercare un nesso di derivazione tra i beni confiscabili ed il reato; perché ci sia confisca è sufficiente provare l’esistenza di una sproporzione tra il reddito dichiarato dal condannato e il valore economico dei beni di cui il condannato ha la disponibilità .
Da notare infine che, secondo la Corte, il sequestro scatta anche se l’imprenditore non è formalmente coinvolto nell’inchiesta, laddove risultino indizi che qualcuno dei beni aziendali sia utilizzato per la consumazione del reato.