La detrazione delle fatture non è ammessa se il fornitore non è quello indicato all’interno del documento contabile, anche se in azienda il servizio è stato comunque fatturato. Lo ha affermato recentemente la sezione tributaria della Suprema Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del Fisco, che sosteneva l’impossibilità della detrazione nel caso in cui il destinatario non fosse il reale fornitore.
I giudici hanno motivato la sentenza affermando che l’esistenza delle operazioni – in relazione alle quali il contribuente assume di aver versato l’IVA – deve essere provata da chi intende esercitare quel diritto. Il contribuente che chiede la detrazione deve dunque essere in possesso delle relative fatture, averle annotate nell’apposito registro e avere conservato sia le une che l’altro.
In caso di fatture false, ha spiegato la Corte, tale documentazione non è comunque sufficiente per far scattare la detrazione. Nel caso specifico, la falsità delle fatture è stata riscontrata, appunto, nella “difformità tra soggetto emittente e soggetto che avrebbe eseguito le prestazioni“.
La sentenza arriva alla fine di una lunga serie di udienze di parere difforme tra loro (non ultima quella tenutasi lo scorso 31 marzo, in cui la Procura della Suprema corte aveva chiesto il rigetto del ricorso del fisco) e sancisce un semplice e definitivo concetto: emettere fatture false non solo non è legale, ma difficilmente consente di ottenere delle detrazioni! L’onere della prova, infatti, ricade non sul Fisco ma sul contribuente e pertanto tutti i documenti che questi presenta devono essere idonei a provare le prestazioni acquistate.