Meno lacciuoli nei rimborsi IVA in caso di cessazione dell’attività . Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una recente sentenza secondo cui l’imprenditore ha diritto al rimborso dell’IVA versata in eccedenza, senza essere pregiudicato dal mancato rispetto di adempimenti formali.
Se ad esempio una azienda vanta un credito nei confronti dell’Erario ma non lo espone in una valida e tempestiva dichiarazione, questo non significa che il diritto decada: al contrario, il diritto è da considerarsi sempre e comunque valido, perché legato non tanto alla presentazione di una domanda scritta nei tempi e nei modi previsti, quanto piuttosto alla effettiva e reale consistenza del diritto stesso.
Il caso specifico affrontato dalla Corte riguarda una società di capitali in liquidazione, che nel 2000 aveva presentato la dichiarazione finale con modello Unico per Irpeg, Irap e IVA, evidenziando nella stessa una considerevole eccedenza di Iva a credito. L’Agenzia delle Entrate si opponeva al rimborso di tale credito sostenendo che la dichiarazione presentata era invalida in quanto il periodo d’imposta, secondo le norme, doveva coincidere con l’anno solare e non essere riferito a più annualità .
Nella sentenza i giudici hanno riconosciuto invece la validità del rimborso richiesto, ritenendo che “l’esercizio del diritto non può ritenersi soggetto né da questa circostanza né da altre norme di legge, al rispetto di particolari adempimenti formali, come ad esempio l’esposizione del credito in una valida e tempestiva dichiarazione”.
Da ricordare, infine che, secondo la Corte, in caso di cessazione dell’attività il diritto al rimborso del credito IVA va in prescrizione dopo 10 anni.